1 gennaio 1924, Milano. Nasce quella che diventerà la pioniera della Resistenza antifascista femminile, Francesca Laura Fabbri Wronowsky. Nasce in un ambiente liberale essendo strettamente imparentata con Giacomo Matteotti, assassinato dal governo fascista nel ’24. La grande storia della Resistenza la conoscono tutti, giovani ragazzi che si improvvisano eroi tentando di cacciare l’invasore tedesco, mossi unicamente dalla speranza di democrazia e libertà, ma la Resistenza partigiana ha visto protagoniste persone normali, comuni, che avevano una vita al di fuori della guerra, come Laura. La figura di Matteotti ha seguito la crescita della giovane partigiana, come un’ombra, segnando non solo le sue scelte, i suoi ideali e i suoi valori, ma anche la sua stessa vita. Lei stessa testimonia, parlando della sua giovinezza: “le amicizie finivano davanti al portone di scuola, nessuno veniva a casa da noi”; l’unico luogo in cui si sentiva normale, libera, senza paure, era il mare, il suo primo grande amore.
Laura racconta anche del suo secondo grande amore, Sergio Kasman, comandante di Giustizia e libertà a Milano, bellissimo ragazzo che conobbe la morte in battaglia, per mano dei nazisti. Il primo innamoramento è quello che si vive più intensamente, quello che si crede infinito e vederlo distrutto da una guerra fa crescere, impedisce di credere nell’invincibilità dei giovani e dell’amore, fa diventare adulti. Tutto questo fa riflettere, non solo, a livello prettamente storico, su quanto sia stato indispensabile l’intervento partigiano in Italia, ma anche su quanto coraggio debbano aver avuto questi giovani ragazzi, che hanno messo in gioco tutto ciò che avevano per un ideale in cui credevano profondamente.
Quanto deve essere difficile rinunciare alle amicizie durante l’infanzia e l’adolescenza? Quanto deve essere doloroso sapere il ragazzo che si ama morto in battaglia?
Quanto deve essere dura una vita piena di rinunce?
A quale scopo? Andare in guerra, rinunciare, combattere, mettere a rischio la propria vita per un risultato che non è certo che arrivi. Riflettiamo non solo sul coraggio di questi giovani, ma sul dolore, sulla disperazione, sul desiderio di libertà che hanno spinto a queste azioni.
Per noi oggi tutto è scontato, tutto è dovuto, per questa ragione è importante ricordare, in particolare attraverso testimonianze dirette che abbiano vissuto il dolore e siano disposte a condividerlo, in modo da rendere il ricordo fonte di insegnamento.
Nada Mansour