Carpe diem

Non voglio parlarvi della vita di Quinto Orazio Flacco, più semplicemente noto come Orazio, e tanto meno delle opere che ha composto. Voglio però condividere quello che sembrava dirmi con i suoi componimenti, primo tra tutti il celebre Carpe diem.

Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Il poeta latino invita i lettori a godere di ogni singolo momento offerto dalla vita, a metterlo a lucro come se fosse un dono. In particolare, egli si rivolge a Leuconoe (letteralmente “dalla mente candida”) che, ricca di aspettative, attende con ansia la sua vita futura. Orazio le consiglia dunque di essere quanto meno fiduciosa possibile nel futuro e di vivere il presente fintanto che è giovane, perché il tempo, invidioso, fugge. L’attimo che deve essere colto e fermato, quasi strappato all’inesorabile scorrere della vita, può essere qualcosa di importanza rilevante oppure di estremamente banale, come l’osservare un paesaggio – che il poeta spesso descrive.

Quando abbiamo letto per la prima volta quest’Ode in classe, ho pensato al mio modo di vivere, o meglio, di non vivere, o meglio ancora, di vivere piuttosto male il presente. La causa di ciò è la mia mente e il suo continuo proiettare immagini dei miei grandi progetti per la vita adulta: penso all’università, al lavoro, alle speranze per l’avvenire e abbino il presente al tempo delle fatiche e dei sacrifici, in modo da costruire il mio futuro.

Orazio mi ha parlato. Non unicamente tramite quel “carpe diem”, ma con la sua visione del mondo, il suo essere pacato e a modo. Mi ha fatto rendere conto della necessità di moderazione in tutto (est modus in rebus): a cominciare dall’amore – non più il centro attorno al quale tutto ruota come in Catullo – fino alla vita di tutti i giorni, quando una valutazione negativa a scuola o un inutile discussione con un amico sembra la fine del mondo. Ma funziona così: tendiamo a fare di ciò che ci fa soffrire il centro delle nostre giornate e ci dimentichiamo della bellezza da cui siamo circondati.
Orazio, invece, era consapevole della meraviglia e dell’unicità della vita e dopo tutti questi secoli le sue parole colpiscono nel segno: basta saper ascoltare, non solo sentire.

 

Federica Terragnoli

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