Non voglio spoilerare neanche un briciolo della storia di questo racconto, perché voglio incitarvi a leggerlo; mi limito semplicemente a condividere quello che è emerso per quanto riguarda il concetto di felicità.
Il primo personaggio che parla di felicità è Don Gaetano, quando riporta allo Smilzo i pensieri dell’ebreo a cui aveva concesso un nascondiglio nel suo palazzo durante la seconda guerra mondiale. Don Gaetano racconta di questo uomo, sopravvissuto al peggio, che il giorno di capodanno gli chiese il favore di processare un rito della sua religione per lui, che non poteva uscire allo scoperto: andare a riva e buttare nell’acqua una pietra (simbolo di liberarsi dalle colpe). L’ebreo aveva detto: “Voglia il nostro che oggi sia il giorno prima della felicità”, e il giorno dopo, quella città che fino ad allora era stata occupata dai tedeschi e che lo aveva costretto a campare sottoterra, era libera.
In questo primo passaggio la felicità è intesa come libertà, anche se quest’ultima durante il romanzo si declina più di una volta negativamente.
Dopodiché lo Smilzo riprende la medesima citazione alla fine di una partita di calcio, dove uno degli avversari gli aveva rotto il naso ed era andato da lui a scusarsi. Lo smilzo rispose: “Sono cose che capitano il giorno prima della felicità” con il pensiero di Anna fisso nella testa.
Per lo Smilzo Anna e la felicità avevano qualcosa in comune, perché l’unica cosa che conosceva di entrambe era il nome, per il resto erano ignote.
La prima volta che Anna e lo Smilzo fanno l’amore, è Anna che conduce ogni mossa e nel farlo sembra una forza della natura, energia pura.
Lo Smilzo rimane colpito da questo e inizia a interrogarsi su cosa sia davvero la felicità, e di conseguenza, anche su chi realmente sia Anna e perché proprio lei sia motivo della sua felicità.
La loro prima volta corrispondeva al giorno di felicità dello Smilzo, il giorno di felicità a cui aveva accennato dopo la partita in cui si era rotto il naso.
Il concetto di felicità per lui è più complesso, perché lui stesso continua ad interrogarsi a riguardo: “É farsi pigliare?” “È avventurosa come una tempesta?” “É un alpinista che raggiunge il suo obiettivo e che poi sbanda in discesa?” “È l’amore?”… Ma questa esaltazione è relativa, perché la felicità gli scivola tra le mani e lui sa che per non soffrire bisogna dimenticarsene il giorno dopo averla conosciuta.
Essendo Anna una ragazza psicologicamente instabile, lo Smilzo, credendo che la sua felicità sia racchiusa in lei, ha un’idea confusa. Si lascia sovrastare e non riesce a tenerle testa, lascia che lui sia il polline e lei il vento, le permette di esercitare un potere decisionale su di lui e sul loro rapporto.
Secondo me lo Smilzo non l’ha mai conosciuta la felicità, ma le interpretazioni che sorgono sono innumerevoli, come sono innumerevoli le riflessioni che questo libro ti permette di fare.
Perché per essere felici è necessario non saperlo?
Camilla Rizzi, 4aE