Sui “viaggi di istruzione”

Purtroppo le “gite scolastiche” (il cui nome tecnico e un po’ ipocrita è “viaggi di istruzione”) sono agli onori della cronaca per due tragici episodi recenti: entrambe legati all’EXPO 2015, che forse il MIUR poteva fare a meno di promuovere così insistentemente, visti questi tragici risultati. Ne è scaturita una vivace discussione, in cui si sono confrontate, da un lato, la posizione netta del presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, che ha sostenuto una tesi radicalmente abolizionista, e il Ministro, Signora Giannini, che ha difeso questo tipo di iniziative rivendicandone la valenza formativa ma astenendosi, ovviamente, dallo spendere anche un solo centesimo per compensare i pochi eroici docenti che ancora accettano lo scomodo ruolo di “accompagnatori”.

Portando la questione nel nostro contesto, proprio nel momento in cui si sta discutendo su questo argomento in varie occasioni (consigli di classe, assemblee degli studenti) vorrei richiamare l’attenzione su alcune questioni vivacemente discusse nel nostro consiglio di istituto.

Come è noto, infatti, il regolamento della nostra scuola conferisce al consiglio il compito di esaminare e (di solito) approvare i progetti di viaggio di istruzione proposti dai singoli consigli di classe: progetti sempre meno numerosi.

Nella discussione in consiglio emergono varie obiezioni e diverse sensibilità: proverò a riassumere, per sottoporle all’attenzione degli studenti, dei genitori e di chi sta lavorando su questo tema, le questioni più controverse, che hanno dato luogo a dibattiti piuttosto accesi, tanto da indurmi a ritirare (pro bono pacis) una proposta di sostanziale modifica del regolamento in materia, che illustrerò solo alla fine di questa serie di riflessioni.

Il problema del costo a carico delle famiglie viene frequentemente posto sul tappeto: ma raramente diventa una questione dirimente. Lo fu all’epoca dell’insediamento dell’attuale consiglio nel 2012, soprattutto per volontà del presidente; in altre occasioni, invece (parere del tutto personale), è stata sollevata in modo meno radicale e un po’ più strumentale, per sostenere alcune specifiche iniziative o per affossarne altre. A mio parere, comunque, si tratta di un aspetto da tenere in maggiore considerazione: la sottrazione di qualche centinaio di euro non è, per molti bilanci familiari, un’operazione del tutto indolore.

Vi è poi una questione di metodo, sulla quale non è più possibile transigere: il consiglio di istituto ha il diritto e il dovere di esprimersi sulle singole iniziative, senza che i consigli di classe ne abbiano data per scontata l’approvazione, o peggio ancora ne abbiano già avviato l’organizzazione, ponendo il consiglio di istituto di fronte al fatto compiuto: a causa di difficoltà ripetutamente presentatesi, il dirigente scolastico, pur adoperandosi per garantire il successo dell’operazione, ha dovuto promettere di non sottoporre più all’attenzione del consiglio (e quindi di non autorizzare) progetti sui quali il consiglio stesso non abbia, realmente, la possibilità di esprimere una propria preventiva valutazione.

Un ulteriore problema è rappresentato dalle caratteristiche e dal valore formativo delle singole proposte. Quando si entra nel merito, qualche docente rivendica l’insindacabilità delle scelte didattiche: questa libertà di iniziativa, tuttavia, non può spingersi a “tassare” a piacimento le famiglie senza che queste, negli organismi partecipativi in cui sono rappresentate, possano esprimere liberamente una propria autonoma e vincolante valutazione.

Veniamo infine alla questione sostanziale: la disparità di trattamento fra le classi, che è proprio quella che mi ha indotto a proporre un radicale mutamento di approccio. Non è per niente bello, secondo me, che uno studente abbia o meno l’opportunità di uscire dalle mura solo grazie al privilegio di avere nel proprio consiglio di classe il tale o tal’altro insegnante, magari da contendere a una classe concorrente.

Se davvero siamo convinti che il viaggio di istruzione abbia un valore, a mio parere occorre superare il modello organizzativo della “gita di classe”  per passare a una “proposta di istituto” che offra alla platea degli studenti (eventualmente a numero chiuso, con meccanismi di selezione che il consiglio di istituto potrà stabilire) un certo numero di iniziative di forte spessore culturale, tecnico, educativo, che rappresentino l’offerta formativa di istituto su questo specifico versante. Un primo passo in questa direzione è stato mosso, e consiste nella proposta di stage linguistico in Inghilterra, che il consiglio di istituto ha recentemente approvato.

A questa mia proposta di cambio di prospettiva si è obiettato che gli insegnanti organizzatori e accompagnatori non sarebbero disponibili ad uscire dai confini “delle proprie classi”: è così? Non siamo ancora capaci di uscire dal ristretto ambito del quotidiano e di percepire noi stessi come risorse a disposizione dell’intera scuola?

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