ll giorno 26 Febbraio le classi terze, quarte e quinte si sono recate al penitenziario di Opera per assistere e partecipare al secondo incontro con il Gruppo della trasgressione. Dopo aver superato le complicate procedure di sicurezza, siamo stati accompagnati in una sorta di teatro all’interno del carcere. Subito non mi ha convinto la presentazione dell’incontro da parte del dott. Angelo Aparo, psicologo e guida di questo gruppo, il quale sostanzialmente ha chiesto a noi e in particolare alla professoressa Tamarozzi, che cosa desiderassimo discutere. Insieme si è dunque deciso di porre delle domande ai detenuti e si è così sviluppato un dialogo nel quale i carcerati hanno esposto il loro percorso interiore, concentrandosi ad esempio sul senso di colpa o sul fatto che tutti noi, secondo la loro opinione, trovandoci in una determinata situazione saremmo dei potenziali assassini o criminali.
Personalmente speravo con questa uscita di poter conoscere meglio una realtà (fortunatamente) sconosciuta e che mi incuriosisce come quella del carcere, invece, a parte le tante procedure di sicurezza, andare al teatro Fellini di Rozzano sarebbe stata la stessa cosa.
Mi ha colpito in particolare un pensiero che accumunava i detenuti; essi infatti sostenevano di esser stati degli assassini nel momento in cui hanno commesso l’omicidio, ma di non esserlo più ora grazie al percorso seguito col il Gruppo della trasgressione. Assurdo. Io e i miei compagni ci chiedevamo se quelle persone avrebbero avuto il coraggio di dire le stesse cose di fronte alle famiglie delle vittime dei loro omicidi. Sicuramente è sbagliato catalogare una persona per tutta la vita come “criminale”, ma il delitto resta, non può essere cancellato, nessuno può rimediare all’uccisione di una persona e quindi non puoi considerarti un assassino solo nel momento in cui uccidi, ma dopo averlo fatto lo resti per tutta la vita.