Ho cercato a lungo qualcosa che potesse essere efficace al pubblico che ha bisogno di un articolo del genere. C’e’ una grossa fetta di articoli che sostiene la medesiima tesi ma trattandosi di pubblicazioni universitarie scende in dettagli sperimentali che, a chi non e’ strettamente interessato al modo in cui la nostra mente funziona, freganulla.
E siccome oggi, tanto quanto forse una volta, prima di leggere si guarda al numero di pagine –a prescindere possa interessarci tanto quanto ci interessa comunicare con il sesso a cui siamo piu’ affezionati– ho sempre creduto si trattasse di materiale poco utile, qui, su un blog costruito per parlare a ragazzi adolescenti.
Eppure stasera, cercando del materiale umanistico sull’invenzione umana che piu’ mi incuriosisce, verso il quale nutro un patologico e feticistico amore, ho trovato questo articolo: Programmatori nati (Natural born programmers).
E’ mio parere che quanto vive uno studente in una facolta’ scientifica e’ spesso inimmaginabile per una persona che studia altro. Invero, i programmi universitari finiscono per preoccuparsi poco di questo fattore dando la possibilita’ di superare un esame dopo l’altro senza vincere un costante e silenzioso sentimento di inadeguatezza –probabilmente non si puo’ fare di meglio da questo punto di vista.
Il tema e’: quanta energia si impiega nel deprimere le possibilita’ effettive, e quanta ne rimane per affrontare le difficolta’ invece e’ probabilemente doveroso incontrare facendo i conti tutti i giorni con le scienze dure? Quanto si impegnano gli insegnanti nel fornire l’immagine di un cervello muscolare?, e non di una gelatina computazionale che, al pari dei polpacci, con o senza allenamento offre le stesse capacita’? (Spero che il Prof. Caldarelli non mi contraddica; in tal caso credo sia comunque chiaro il senso).
Quindi mi butto; lo posto …e anche questo, scritto da Aaron Swartz (morto quest’anno).
Spero possa essere utile a quante piu’ persone possibili.
Ringrazio,
Giuseppe