L’esperienza dell’autogestione al Calvino

Non ci avrebbe creduto nessuno: erano passati troppi anni dall’ultima “autogestione” nell’Istituto Calvino di Rozzano e prendere sul serio un’iniziativa del genere, organizzata in modo apparentemente approssimativo, sarebbe stata solo una perdita di tempo. Eppure è accaduto.
La scarsa fiducia dilagante tra i docenti e il preside nei confronti degli studenti era giustificata da numerosi fattori, in primis la superficialità con cui inizialmente noi ragazzi ci siamo approcciati ad un simile progetto: quella di “autogestirci” , d’altronde, era una scelta estrema rispetto ad altre eventuali forme di protesta previste dal nostro Regolamento d’Istituto.
La questione è proprio questa: la nostra “autogestione” o “giornata alternativa” non è nata dalla protesta né dal bisogno di parlare di attualità, e non ha mai preteso di farlo; l’urgenza di organizzare una giornata alternativa non c’era (almeno per la maggioranza degli studenti) per cercare dell’altro al di fuori del programma curricolare o al di fuori di ciò che già fa parte della nostra vita: facendo un’autocritica, infatti, le attività “alternative” che abbiamo scelto erano nella maggioranza dei casi (ma non sempre) attività che svolgiamo già nella nostra vita di tutti i giorni, per esempio i tornei sportivi.

Ma allora perché tutto questo? Qual è il perché della tenacia con cui alcuni ragazzi sono arrivati fino in fondo a questo progetto, nonostante mancasse loro l’appoggio da parte del corpo docenti e soprattutto dalla stragrande maggioranza degli studenti?
L’autogestione, comunemente parlando, è in sé un mezzo, non un punto di arrivo; nel caso del nostro istituto è addirittura un punto di partenza: prima ancora di una protesta del corpo studenti, dobbiamo renderci consapevoli che siamo un corpo studenti. Ciò vuol dire prenderci sul serio l’un l’altro e realizzare che siamo parte dello stesso istituto, della stessa macchina studentesca.


Può sembrare un concetto sottinteso nella vita di uno studente, ma nel nostro caso per alcuni fattori così non è, come per il fatto di essere una scuola di provincia e composta da studenti provenienti da realtà molto diverse tra di loro, o per la diffusa falsa consapevolezza di vivere ognuno per se stesso, nella propria realtà quotidiana in cui la “scuola” ha di per sé ben poco valore.
Il tentare però, anche zoppicando (nessuno di noi ha mai avuto esperienze di autogestioni precedenti), di fare qualcosa tra di noi a scuola è già il campanello d’allarme che stiamo lentamente prendendo coscienza di noi stessi e di cosa si può fare insieme, senza necessariamente opporsi al preside e ai professori, ma tentando un approccio diplomatico, costruttivo e basato sul dialogo.

Al terzo tentativo, infatti, e non senza pochi compromessi, il nostro progetto è stato accolto: avevamo a disposizione una mattinata per svolgere attività organizzate da noi, anche con l’aiuto di specialisti esterni.
La mattinata è cominciata inevitabilmente in modo caotico, poiché gli studenti hanno avuto alcune difficoltà nel capire in che aule andare e c’è da dire che il problema di avere sacche di studenti incustoditi o “vagabondi” per la scuola in alcuni casi si è protratto per tutto l’arco della giornata, evidentemente perché non erano abbastanza interessati alle attività, e su questo ci si può lavorare in vista di un’autogestione futura.
Le attività venivano svolte in aule prefissate: sono stati organizzati corsi di disegno, di ballo latino-americano, di fotografia (con l’aiuto di un esperto contattato dagli studenti), un collettivo per approfondire la storia della musica, un contest di freestyle e sono state dedicate due aule alla visione di film e la palestra a tornei sportivi di calcetto e pallavolo; infine l’auditorium ha ospitato un dibattito sull’esperienza nei campi di concentramento del nonno di uno studente e due conferenze: la prima, molto interessante, tenuta da un ex alunno, Valerio Marazzi, riguardante dei progetti di scuole alternative realizzate in Palestina e lungo la striscia di Gaza secondo i principi dell’architettura bioclimatica e della sostenibilità, e la seconda, tenuta dal gruppo Astrofili di Rozzano, sulla nascita del sistema solare. Mal riusciti, invece, come volevasi dimostrare, i recuperi delle attività curriculari.
Facendo un bilancio generale della giornata considerata per se stessa, c’è sicuramente tanto su cui si può migliorare: è davvero un peccato, per esempio, che siano ancora pochi gli studenti che prendono sul serio un progetto del genere e che ne approfittano per fare approfondimenti rispetto a ciò che già fa parte delle loro vite, e questo è testimoniato dal fatto che i partecipanti alle conferenze erano ben pochi rispetto agli iscritti ai tornei. Inoltre coinvolgere più studenti è un punto fondamentale da cui ripartire in proiezione di una futura autogestione, poiché coloro che hanno aderito erano davvero pochi: molti studenti sono addirittura rimasti a casa. Infine c’è da rivalutare la questione della sicurezza, poiché non è molto ragionevole affidare la responsabilità di tanti minorenni a un gruppo ristretto di studenti maggiorenni.
Considerando però tutto il lavoro precedente a questa giornata, tenendo conto dei rifiuti del preside e delle difficoltà organizzative, se andiamo oltre ai vari difetti più o meno formali sopra citati (da non sottovalutare per una prossima autogestione) ci possiamo accorgere di cosa è rimasto di autentico e di vero da questa esperienza.
Innanzitutto abbiamo imparato cosa vuol dire prendere in mano una scuola, organizzarla e gestirla senza l’ausilio dei docenti: per farlo è necessario operare su più fronti, in particolare su quello burocratico, mettendo tutto nero su bianco e formalizzando ciò che stavamo organizzando, e, soprattutto, su quello pratico, ovvero pensare ed attuare dei servizi per altri studenti, prestando attenzione alla qualità formativa delle proposte, agli eventuali iscritti e a quale aula assegnare, tenendo conto della capienza e delle necessità proprie di ogni attività.
La grande conquista, però, di questo progetto, e ciò che con più orgoglio va custodito, è il Collettivo: prima nessuno osava parlarne, anche perché non esisteva neanche; ma l’esperienza di lavorare a stretto contatto con altri studenti, cercando dei punti di contatto con il preside e i professori, dividendoci i compiti e cercando di trovare sempre le soluzioni migliori, ha inevitabilmente fatto da collante a un gruppo, sebbene ancora ristretto, di studenti. È questo il vero perché della nostra autogestione: creare un punto di riferimento fondamentale per gli studenti dell’Istituto, per essere consapevoli che insieme possiamo vivere la scuola in modo migliore, aprendoci a nuove esperienze costruttive, per andare oltre a ciò che comunemente a scuola ci viene insegnato, che, sebbene sia tanto, comunque non basta.
Noi del Collettivo speriamo di aver “seminato” per il prossimo anno, in cui sicuramente proporremo più consapevolmente una seconda esperienza simile, ripartendo dalle lacune di quest’anno: è fondamentale coinvolgere non solo più studenti, che probabilmente non si sentono ancora parte di qualcosa di più grande che li unisce (cosa che la scuola si propone di fare), ma sfruttare anche la partecipazione dei docenti, magari strutturando la giornata sullo schema di una cogestione, invece che di un’autogestione; anche le attività proposte saranno rimesse in discussione, cercando di andare più a fondo di un simile progetto, e si cercherà un periodo migliore in cui organizzarlo.
Personalmente mi auguro che anche per chi non ha saputo vivere questa esperienza sia rimasto qualcosa, che siano alunni o professori: non facciamo cadere nel nulla ciò che scrive la storia del nostro istituto, anche se va migliorato, e non soffochiamo la conquista di questa esperienza, il Collettivo. Per appoggiarlo sono necessarie due cose: fiducia e partecipazione.

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