Secondo la dottrina aristotelica, l’anima è forma, cioè organizza intimamente la struttura di ogni essere vivente.
Tale dottrina ha permesso ad Aristotele di fondare la biologia.
Egli anche in biologia resta fedele alla sua gnoseologia e parte sempre dall’osservazione diretta del mondo reale.
Nel trattato Historia animalium, composto da otto libri, Aristotele descrive 581 specie diverse di animali da lui stesso osservate in Asia Minore e sull’isola di Lesbo. In seguito, nel De partibus animalium egli distingue tutti gli animali in generi e specie, e crea una classificazione rimasta invariata fino a Carlo Linneo nel Settecento.
Inizialmente Aristotele suddivide gli animali che possiedono sangue da quelli che ne sono privi (oggi tale divisione corrisponde alle due categorie di animali vertebrati ed invertebrati): tra i primi elenca i mammiferi (terrestri e vivipari), i rettili e gli anfibi (terrestri e ovipari), gli uccelli (aerei o vivipari) ed infine i pesci (acquatici e ovipari).
All’interno della seconda categoria egli classifica gli animali privi di sangue secondo vari criteri, per esempio in base alla durezza o alla mollezza della pelle. Per la prima volta pratica la dissezione per studiare le parti interne di cui gli animali sono costituiti; grazie a tale procedura Aristotele distingue i tessuti, formati da parti omogenee e gli organi, formati da parti eterogenee. Studiando gli organi, il filosofo ricerca la causa finale, scopre così per primo l’importante principio della biologia, secondo il quale la funzione svolta dall’organo spiega anche come l’organo è fatto. Aristotele spiega così l’apparato locomotore, digerente, respiratorio e riproduttivo.
Aristotele assegna al cuore un ruolo centrale, perché lo considera fonte del calore vitale. Per il filosofo il cuore cuoce i cibi, li trasforma in sangue e nutre tutto l’organismo diffondendo il sangue nel corpo.
Egli applica anche il criterio dell’analogia, scoprendo alcune somiglianze tra parti di animali di specie diverse, come quella tra i polmoni dei mammiferi e le branchie dei pesci, organi adibiti entrambi alla respirazione. Questa procedura, che si può anche chiamare zoologia comparata, consente al filosofo di classificare i delfini e le balene nella specie dei mammiferi, perché a differenza dei pesci sono dotati di polmoni.
Aristotele poi colloca tutti gli animali in una gerarchia secondo l’ordine di complessità e di perfezione, da lui definita scala della natura. Mette all’apice di essa l’uomo, considerato l’animale più perfetto, e spiega per mezzo di analogie i meno perfetti con i più perfetti.
Nel De generatione animalium egli osserva il modo in cui gli animali si riproducono, per individuare la loro forma, o struttura. La generazione consiste nella trasmissione della forma da parte del seme maschile alla materia, costituita dal sangue mestruale femminile, dando vita all’embrione. La forma è uguale per tutti gli individui della medesima specie e garantisce la sua durata oltre l’esistenza di ogni singolo individuo.
Aristotele afferma che ogni specie è eterna: infatti non conosce le scoperte sull’evoluzione moderna degli esseri viventi. Studiando lo sviluppo dell’embrione, afferma che esso non cresce grazie alla maturazione di organi già preformati, ma per generazione aggiuntiva di nuovi organi.
Nonostante il grande sviluppo della sua biologia, il filosofo cadde in alcuni errori, come ad esempio credere che nella riproduzione la forma derivi solo dall’uomo e la materia dalla donna, o che l’organo della sensibilità non sia il cervello ma il cuore; ma questi stessi errori sono dovuti per la maggior parte dei casi alla mancanza di strumenti scientifici come il microscopio.