La libertà è la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un’azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto. Questo afferma Wikipedia, uno dei siti di ricerca più visitati al mondo.
Ma è davvero così? Secondo me non è affatto vero perché nessuno ha l’occasione di vivere questa ideale condizione di libertà. C’è sempre qualcuno che ci “spinge” verso “strade” non scelte da noi. Che si tratti di scelte riguardo fatti poco importanti, che presto si dimenticheranno, o riguardo fatti molto più rilevanti, che ci condizioneranno per il resto della nostra vita.
Dal mio punto di vista la libertà di una persona, a maggior ragione se si tratta di un adolescente, è molto limitata. Infatti, un ragazzo sarà sempre influenzato, nei casi più estremi obbligato, dai genitori o dalla famiglia a fare delle scelte specifiche per paura di deluderli, di farli soffrire o di non essere più considerati come prima.
L’adolescenza, già di per sé, è un periodo in cui i ragazzi sono molto insicuri (chi più, chi meno) e questa “pressione” da parte di chi, in teoria, ha il compito di aiutarli a crescere certamente non aiuta. Per fortuna questa situazione non riguarda tutti gli adolescenti, ma una gran parte potrebbe rispecchiarsi in queste poche righe.
Quindi io mi chiedo: esiste realmente la libertà?
Perché nella mia “breve” vita ancora non l’ho potuta vedere così come è definita.
Libertà, una parola carica di significati e di immenso impatto emotivo: maneggiare con cautela. Tutti la invocano, soprattutto tra i politici. Pochi spiegano che cosa intendono.
Tu, Viviana, invece, parti da una definizione e fai bene. Però la definizione di Wikipedia non è neutra e, soprattutto, propone l’impossibile.
Il modello è quello della libertà di indifferenza, frutto di una cultura che fa dell’individuo l’unico e sommo legislatore di se stesso, capace di stabilire, sulla base di norme personalmente sviluppate e accettate, come condurre la propria vita per esserne, fino in fondo, il vero protagonista, senza costrizioni esterne. La libertà consisterebbe nel poter scegliere indifferentemente una cosa, una situazione, una persona… invece di un’altra. Ho scelto bianco, ma avrei anche potuto scegliere nero.
Ma, come hai ben capito, questa libertà è un’astrazione. La nostra non è mai liberta di indifferenza, è sempre la libertà di persone concrete, con una storia, con dei rapporti umani, con un ruolo preciso.
Certo, io potrei, durante la lezione di filosofia, tirar fuori un fornellino elettrico, quattro uova, un po’ d’olio e cuocermi una frittata. Sarei più libero? Io credo di no.
L’alternativa alla libertà di indifferenza è la libertà di qualità, una libertà che si costruisce insieme agli altri e non in opposizione agli altri.
Qualche esempio.
Immaginiamo un ragazzo che desideri imparare a suonare il basso per entrare in un complesso. Occorrerà, prima di tutto, che abbia una certa predisposizione per la musica. Se non ha inclinazione o non ha orecchio, otterrà solamente risultati modesti. Ma se è dotato, allora, servendosi di libri, di video, chiedendo consigli a chi già sa suonare o, meglio ancora, avvalendosi dell’insegnamento di un maestro, imparerà a suonare con precisione, guadagnerà in disinvoltura e potrà eseguire anche pezzi difficili. Il suo gusto e il suo talento si affineranno e potrà permettersi di improvvisare a piacere e di sviluppare uno stile personale.
Se ci pensiamo un momento, tutti noi siamo liberi di toccare le corde di un basso e di ottenerne dei suoni, ma si tratta di una libertà povera e rudimentale: non sapremmo suonare niente di apprezzabile. Invece, chi ha imparato a suonare ha acquisito, nei confronti dello strumento e della musica, ben altra libertà: può eseguire perfettamente i brani musicali che vuole e ciò gli dà gioia.
Insomma, la libertà si conquista con glia altri più che contro gli altri.
Esempi analoghi si potrebbero fare per la pittura, per gli sport, per l’apprendimento delle lingue. Sempre è importante la predisposizione, ma non è mai sufficiente. Sempre chi ha affinato e sviluppato le proprie capacità attraverso l’esercizio ed il confronto con dei maestri è più libero di chi è rimasto ad un livello rudimentale.
Se consideriamo ora una dimensione prettamente morale, possiamo renderci conto che qualcosa di simile vale anche per le virtù. È certamente vero che occorre supporre che tutti gli uomini siano, sia pure in maniera variabile, predisposti alla loro acquisizione. Ma ciò sembra abbastanza ragionevole. Non c’è infatti alcun problema se non tutti sono musicisti, ma è indubbiamente opportuno che tutti siano giusti, onesti, ecc. Allo stesso modo è vero che si può trovare un insegnante di musica, di pittura, di nuoto, ecc., ma non di virtù. Ciò è però dovuto al fatto che tutti, in qualche modo, dovrebbero essere maestri di virtù. Fatte queste differenze, il meccanismo è lo stesso: le virtù (coraggio, temperanza, prudenza, ecc.) si acquisiscono mediante l’esercizio e seguendo l’esempio degli altri. Ma soprattutto, quel che più conta, l’acquisizione delle virtù rende la nostra libertà più sicura e completa e ci dà gioia.
É vero che tale concetto ha più sfumature, per esempio, la libertà di qualità di cui parla: concordo pienamente con lei. In realtà, però, con il mio testo intendevo parlare di quello che lei definisce libertà di indifferenza. Quindi, crede anche lei che quest’ultima non esista? O crede che possa esistere ma non porti a essere più liberi?
Cara Viviana, ho scritto un lungo commento. Troppo lungo, temo, e, forse poco pertinente. Deformazione professionale: tendo a vedere tutto da un punto di vista filosofico. Ma se la filosofia non incide nel nostro modo di vedere la vita, a che serve mai?
Ecco il commento.
Ma che interesse può avere per noi, che interesse può avere per te la libertà di indifferenza?
Porta dritti all’asino di Buridano.
Noi vogliamo sempre la libertà per qualcosa. C’è sempre un telos, uno scopo, ma questo scopo non potrebbe esistere senza gli altri.
Immaginiamo che una giovane voglia dedicarsi alla danza. Come raggiungerà meglio il proprio risultato: esercitandosi da sola, secondo il suo istinto, o cercandosi dei buoni maestri che le insegnino la pratica tradizionale di questa attività?
Mettiamo anche che questa giovane voglia rivoluzionare la pratica della danza, per farlo dovrà pur sempre conoscerla ed averla acquisita.
Lo stesso vale per ogni altra pratica, dagli scacchi al rugby, dalla cucina ebraica alla scultura lignea.
La mia libertà, insomma, matura nel confronto con gli altri, non nell’arbitrio casuale.
Quel che vale per le pratiche vale a maggior ragione per l’unità narrativa della vita. Il comportamento umano infatti è comprensibile soltanto se considerato nel contesto di una storia: determinati comportamenti sono comprensibili all’interno di una sequenza, non lo sono al di fuori di essa. Ogni vita è una narrazione, ed è inserita in altre narrazioni con le quali si intreccia.
Della narrazione della nostra vita siamo sempre soltantocoautori. Ciascuno di noi, è protagonista della propria storia, ma recita parti secondarie nelle storie degli altri, e ciascuna storia pone vincoli alle altre.
Ogni vita assume dunque il suo senso se considerata come un tutto, come un’unità narrativa dotata di due caratteristiche fondamentali: una certa imprevedibilità ed un carattere teleologico.
Non sappiamo che cosa accadrà subito dopo. Ma viviamo le nostre vite, individualmente e nelle nostre relazioni reciproche, alla luce di aspettative su un possibile futuro comune. Il presente porta in sé l’immagine di un possibile futuro.
Così, chiedere: “Che cosa è bene per me?” significa chiedere come potrei vivere nel modo migliore l’unità narrativa incarnata nella mia vita e come potrei portarla a compimento. Chiedere “Che cos’è il bene per l’uomo?” significa domandarsi che cosa debbano avere in comune tutte le risposte alla domanda precedente.
La vita è dunque una ricerca narrativa caratterizzata da un telos che si va chiarendo nel corso della ricerca stessa.
Ora, nessuno di noi è mai in grado di ricercare il bene e di realizzare la propria eccellenza (areté) solamente in quanto individuo, perché viviamo la nostra vita come portatori di una determinata identità sociale: ciascuno di noi è figlio o figlia, cugino o zio, membro di un gruppo sociale o di un altro, esercita una particolare professione, ecc. Perciò il bene per me deve essere il bene di chi ricopra questi ruoli. Io eredito dal passato della mia famiglia, della mia città, della mia tribù, della mia nazione, una molteplicità di debiti, di retaggi, di legittimi obblighi e aspettative: sono il mio punto di partenza morale. Non è possibile prescinderne se non al prezzo di rendere inintelligibile la nostra vita.
Insomma, la nostra libertà non può prescindere dal rapporto con gli altri e con la tradizione cui apparteniamo. I nostri progetti si realizzano meglio se teniamo conto del tessuto di relazioni in cui siamo inseriti. Questo non significa però che dobbiamo subire passivamente, questo non significa che un giovane si debba uniformare in tutto a quanto richiesto dal suo ambiente e, soprattutto dalla sua famiglia, questo non significa che non ci possano essere rotture, svolte e colpi di scena: certe storie lo richiedono.
Io credo che come definizione di libertà quella di Wikipedia possa anche essere accettabile. Ovviamente poi il concetto di libertà ha tutta una serie di sfumature, ma in generale è quello. Che poi uno nella propria vita non si sia mai trovato nella condizione di poter esercitare una libertà come descritta in quelle righe, non vuol dire che essa non abbia quelle caratteristiche.
È vero: le nostre scelte sono sempre condizionate, però è proprio il fatto di poter scegliere a renderci liberi. Nel momento in cui tu sei davanti a un bivio puoi scegliere che strada prendere, liberamente.
Giusta l’obiezione del non dover deludere i genitori a quest’età, ma io credo che un genitore sia deluso nel momento in cui il proprio figlio fa una scelta che lo porta ad essere infelice o non pienamente realizzato. I genitori non sono infallibili, possono commettere anche loro degli errori, però hanno alle spalle anni di esperienza e in certe situazione probabilmente ne sanno più di noi. È difficile da accettare, io stessa molto spesso penso che i miei genitori non capiscano nulla e faccio di testa mia, per poi rendermi conto di quanto avessero ragione.
L’obiettivo di un genitore non è quello di limitare la libertà dei propri figli, ma di insegnar loro ad usarla con coscienza quando dovranno cavarsela da soli. Ovviamente io parlo in questo modo perchè ho l’esempio dei miei genitori, che non mi hanno mai condizionata nelle scelte, ma si sono limitati a esprimere i loro pareri ed è utile a volte avere punti di vista diversi da cui osservare un problema.
Non credo siano i genitori a “pressarci” con la paura di farli soffrire, ma più che altro la nostra coscienza; se non ci fosse quella dannata vocina nella nostra testa che ogni volta viene a ricordarci perchè fare una certa cosa è sbagliato, la faremmo comunque.
Inoltre capita che siano i dubbi che affollano la nostra testa a impedirci di agire (cioè esercitare la nostra libertà), quei dubbi, a volte assurdi, ma che rimangono anche dopo che la decisione è stata presa.
Infine ci sono i condizionamenti sociali, quelle “norme” non scritte che regolano i rapporti con gli altri e a cui ci si deve attenere per non essere emarginati. E a quest’età sono quelli che più limitano la libertà; eppure ancora una volta non è colpa degli altri se non siamo totalmente liberi, ma di noi stessi che lasciamo che queste “norme” prevalgano sui nostri desideri e sulla nostra personalità. Credo non ci sia condizionamento peggiore del giudizio altrui, perchè ci porta ad uniformarci agli altri, a perdere la nostra individualità, che è la cosa più preziosa che noi possediamo: perderla equivale a non essere più liberi.
In parole povere: molto spesso, più di quanto si possa immaginare, siamo noi stessi a tarpare le ali della nostra libertà, non gli altri.
Potrebbe anche essere vero che la definizione di Wikipedia non sbagli. Sicuramente c’é gente che riconosce in quella il significato di libertà.
Per quanto riguarda i genitori, invece, é vero che non sono infallibili, però, esistono casi dove i genitori hanno delle aspettative e non accettano il modo di vivere dei figli, o comunque le loro scelte, perché troppo attaccati alla tradizione e alle regole sociali. Ci sono genitori che criticano i figli, non per renderli migliori e insegnar loro qualcosa, ma semplicemente perché ”diversi” dalla maggioranza della società.
Molte volte, come hai detto tu, siamo noi stessi a limitarci il diritto alla libertà, ma molte volte sono i genitori che non accettano certe condizioni.
Per il resto concordo pienamente: anche io penso che il giudizio e l’influenza degli altri siano la peggiore delle limitazioni perché rendono l’individuo uniformato alla massa.
Ovviamente questo é solo il mio punto di vista. Ognuno può pensarla diversamente.
Il giudizio e l’influenza degli altri sono indispensabili per affermare la nostra libertà, per dire un sì consapevole oppure un no meditato.
Si diventa campioni di scacchi senza validi avversari?
Lo stesso è per la vita: non si diventa campioni senza ostacoli e difficoltà.