La parola è una potente signora, che pur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine: può far cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione.
Già da questa frase si può dedurre quale valore Gorgia desse alla parola: la parola è differente dalla realtà, non ci permette di esprimere l’essere. È quindi ingannatrice, capace di mutare il pensiero altrui. Secondo Gorgia la verità non esiste e perciò non conta, ciò che conta invece è la capacità di argomentare. Infatti non è il contenuto dei discorsi ciò che persuade e convince la gente bensì il modo in cui ci si esprime. Per fare un esempio, parlava del fratello, che nonostante fosse medico e sapesse molto più di lui nel campo della medicina, non riusciva mai a convincere i pazienti a prendere le medicine prescritte bene come faceva Gorgia. Questa secondo lui era la dimostrazione che la parola pronunciata esercita la sua influenza sulle emozioni degli ascoltatori, non sulle loro capacità intellettive. La potenza della parola è equiparata da Gorgia alla potenza dei farmaci e degli incantesimi magici. Gorgia cerca anche di spiegare come ottenere gli effetti persuasivi sui propri interlocutori, cosa che non era mai stata trattata da nessuno prima di lui. Probabilmente, studiando le reazioni emotive e gli effetti che certe parole causavano sulle persone, Gorgia ha tentato di trovare il modo di utilizzare al meglio la parola come strumento per convincere. Fa parte di questo studio sulla parola anche l’Encomio di Elena nel quale Gorgia tenta di difendere la moglie di Menelao dalle accuse che la ritenevano la causa della guerra di Troia. Ma di fondo resta il fatto che Gorgia tenta di dimostrare che con la parola si può, mediante un opportuno utilizzo, ribaltare il convincimento popolare, risultato di secoli di tradizioni, a proprio piacimento. Infine per far percepire la potenza della parola, Gorgia conclude ad effetto dicendo che la sua opera vale sì a difesa di Elena, ma che a lui è principalmente servita per diletto. Se nulla è, le parole non sono verificanti; anche Elena, che dalla tradizione antica greca è criticata assai aspramente quindi può essere innocente e degna di compassione.
Ciò che afferma Gorgia ha valore anche nella società moderna, basta pensare a quale sia uno dei diritti fondamentali che viene negato all’uomo sotto una dittatura: quello di parola. Perché il suo potere non è cambiato, anche oggi la parola è in grado di persuadere e convincere ma soprattutto di esprimere i nostri pensieri, per questo è la prima ad essere tolta, così da non farci comunicare e confrontare le nostre idee per formare un’opposizione al dispotismo. Succede però anche nella democrazia, dove bugie convincono gli elettori a votare per politici i quali hanno fatto promesse mai mantenute.
La parola è quindi un fantastico dono che l’uomo ha, ma anche un’arma per eludere e far del male, tutto dipende dall’uso che si fa di questo dono. La retorica è oggi un arte utilizzata soprattutto nei tribunali e in politica, ma anche nelle pubblicità dove si compiono ormai studi per trovare modi sempre più semplici per convincere le persone. L’arringa finale di un avvocato potrebbe scagionare un uomo accusato di omicidio che magari era veramente colpevole, o al contrario potrebbe far incarcerare un innocente, il giusto discorso in una campagna elettorale potrebbe aggiudicare il posto di presidente del consiglio a un candidato che magari poi si rivelerà non pronto per quella carica. Il potere di questo “dono” sembra essere immutato visto che gli scopi sono gli stessi: convincere o ingannare, è l’uomo che poi sceglie come usarlo.
La parola è quindi un fantastico dono che l’uomo ha, ma anche un’arma per eludere e far del male, tutto dipende dall’uso che si fa di questo dono.
Ma che cosa differenzia l’uso buono da quello cattivo? Soltanto lo scopo oppure anche il metodo?
Se diamo per scontata una certa caratterizzazione di “buono”, direi solo lo scopo.
Se invece teniamo conto che lo scopo è sempre soggetto a un giudizio di valore (ovviamente, visto che si parla di definirlo “buono” o “cattivo”) e che questo varia da persona a persona, e decidiamo quindi di tralasciare la nostra personale valutazione dello scopo, direi che conta anche il metodo; sarà un buon uso nella misura in cui… non presenta troppe ambiguità?
E’ anche vero che le ambiguità in tantissimi casi non sono da rimproverare, specialmente in testi che non sono volti a sopraffare un avversario (come, non so, un romanzo).
Quindi, se tralasciamo lo scopo come giudichiamo il metodo?
Caro LocusPluviae, ti so lettore di Kant.
Per questo scelgo di cavarmela a buon mercato.
Il metodo non è accettabile se è manipolativo.
Se, ad esempio, per convincere dei giovani a lottare contro la fame nel mondo (ottimo scopo) io faccio appello soltanto alle loro emozioni, ai loro sensi di colpa, alle loro paure e li forzo emotivamente a fare quel che desidero, per quanto nobile sia la causa cui miro, io sto manipolando quei giovani e questo è un uso cattivo della parola.
Mai dimenticare la natura razionale degli esseri umani. Toccare le corde emotive va bene, ma l’appello alla ragione deve essere dominante.
Kant diceva:
Se, attraverso la parola, cerco di ridurre l’altro ad un mio strumento, sto facendo un cattivo uso della parola.