Discutere di un argomento o un pensiero fa parte della vita di tutti i giorni: insomma, chi può ammettere di non esser mai in disaccordo con qualcuno? Spesso ci troviamo a litigare, e le ragioni che ci spingono a intavolare una discussione sono molteplici. Ma non è nemmeno possibile dissentire su tutto: ci sono innumerevoli occasioni in cui si condivide la stessa opinione, rimanendo d’accordo e in sintonia.
Secondo Socrate, filosofo del V secolo a.C., si avranno idee discordanti su qualcosa se non c’è un’unità di misura, se il criterio che si usa per definirla rimane soggettivo. Per esempio a proposito del buono e del cattivo, del bello e del brutto, del giusto e dell’ingiusto, per i quali ognuno può parteggiare secondo le proprie idee e opinioni, non c’è una regola fissa che stabilisca cosa sia l’uno o l’altro.
Ci sono però situazioni in cui si devono prendere decisioni su cosa è giusto o ingiusto, per esempio quella in cui Socrate si trova nella sua Apologia, cioè davanti a un tribunale.
Socrate riteneva che le cause risolvibili fossero appunto quelle che hanno un’unità grazie alla quale si possono misurare, come quale sia il più numeroso tra gruppi di oggetti, o che cosa sia più pesante o più leggero. Riflette quasi matematicamente sulle domande che si pone, anche quando identifica, per esempio, il santo come un sottoinsieme del giusto, perché non tutto ciò che è giusto è santo, ma qualunque cosa santa è anche giusta. Altrimenti anche fare il calciatore sarebbe un’azione santa, perché è uno sport che fa bene, e quindi è giusto per sé stessi. Socrate però cerca di trovare una risposta non solo ai problemi oggettivi, ma anche a quelli, come il bene e il male, che mantengono un punto di vista soggettivo. Ma perché farlo, se non esiste un unità di misura e sono irrisolvibili? Il fatto che non ci sia un’unità di misura, secondo lui, non significa che essa non esista, ma semplicemente che non è ancora stata trovata, per questo è giusto porsi domande a riguardo.
Questa continua ricerca di risposte da parte di Socrate non lo spingeva in nessun modo a ritenersi esperto in qualche campo. D’altronde come spesso diceva, lui “sapeva di non sapere”, e la ricerca del sapere è ostacolata nel momento in cui una persona è convinta di sapere abbastanza. Infatti Socrate era solito far notare alle persone sicure di sé che in realtà erano ignoranti quanto lui, ma il fatto di non esserne consapevoli le rendeva meno sapienti. Per questo aveva un atteggiamento (che venne poi definito “metodo socratico”) che metteva in luce persino l’ignoranza dei più illustri maestri anche nei campi in cui essi si ritenevano professionisti. Quando finalmente davano una definizione possibile, Socrate riusciva sempre a confutarla provocandosi la loro inimicizia. In fondo, nessun uomo acculturato ammetterebbe di essere un ignorante, soprattutto se l’accusa proviene da una persona povera come Socrate.
E questo succede tutt’ora, il fatto che non si abbia voglia di “svegliarsi”, ma che si preferisca restare nella situazione in cui ci si trova, prendendo come accettabile una risposta, solo perché non si ha la pazienza di ragionarci su. Quindi la si considera inconfutabile nell’eventualità che emerga un dissenso, e la si usa poi come soluzione.