“EUTIFRONE: A un’altra volta, Socrate: ho furia; l’è ora ch’io vada.
SOCRATE Che fai, amico? tu vai via e mi togli la speranza ch’io aveva, dopo imparate da te le cose sante e le empie, di potermi districare dall’accusa di Melito; mostrando a lui che Eutifrone m’ha fatto dotto in religione, che io non sono uno sciocco che parlo di mia testa, ch’io non fabbrico nuovi Iddii, che io da oggi in poi avrei menato vita un po’ meglio.”
Così si conclude l’Eutifrone, uno dei dialoghi socratici scritti da Platone.
Trovo interessante il modo in cui Eutifrone si congeda dal filosofo, sbrigativo, quasi scocciato; probabilmente non fu l’unico che, esasperato dall’interlocutore, decise di troncare l’argomento di discussione.
E come dargli torto? Chi di noi, al suo posto, avrebbe fatto diversamente?
Il metodo di Socrate consisteva nell’interrogare le proprie “vittime” su argomenti che essi credevano di conoscere perfettamente, riuscendo a smentirle con ironia. Grazie alle sue domande, infatti, si riusciva a capire l’invalidità delle proprie opinioni: al termine delle discussioni, gli interrogati risultavano confutati dal filosofo e si rendevano conto di non sapere ciò che erano convinti di sapere. Ed era per questo che, feriti nell’orgoglio, alla fine decidevano di andarsene.
Il fine di Socrate era quello di far scoprire ai suoi concittadini la loro ignoranza, in modo da spingerli a migliorarsi per raggiungere l’Aretè, l’eccellenza. Infatti egli credeva che solo alimentando la propria anima, arrichendola di conoscenza, si potesse capire la differenza tra Bene e Male e raggiungere la felicità. “L’anima è l’essenza dell’uomo” diceva, ed egli stesso cercava di nutrirla sempre più di sapienza, tramite il dialogo con gli altri. Insisteva molto a volte e, proprio per questo, era paragonato a un tafano, un insetto fastidioso la cui puntura fatica a guarire.
Egli non lasciò nulla di scritto, tutto ciò che sappiamo di lui ci è stato tramandato da altri, come Platone e Senofonte. Questo perché per Socrate non era importante elaborare dottrine impersonali e oggettive, valide per tutti, ma fare chiarezza nell’animo, tramite il contatto diretto con le persone, per poter “partorire” pensieri riguardanti la vita dell’uomo. Non per niente si paragonava alle levatrici, le donne che, ormai madri, aiutavano le altre a far nascere i propri figli, così come lui aiutava a far nascere delle verità.
Non condivido la sua convinzione che il Male sia compiuto unicamente per ignoranza e che solo alimentando la propria virtù si possa conoscere il Bene, ma trovo molto interessanti il suo metodo e il suo pensiero, perché credo che il dialogo tra gli uomini sia importante per stimolare la ricerca di verità.
Ho cercato di immedesimarmi in uno dei suoi interlocutori e, molto probabilmente, mi troverei più che in difficoltà in uno scontro diretto con lui e faticherei parecchio a portare avanti le mie idee, pur non essendo molto incline a cambiare opinione. Però credo anche che essere stimolati ad interrogarsi, per capire e conoscere a fondo qualcosa che ci interessi, non sia sbagliato e che possa portare, in alcuni casi, al raggiungimento della felicità.