Il sofista Protagora è ricordato soprattutto per una massima che sembra riassumere tutto il suo pensiero: «l’uomo è misura di tutte le cose». Possiamo affermare che anche per Socrate è così, ma il pensiero socratico è tutt’altro che in accordo con quello sofista.
Perché?
La risposta ruota attorno al diverso significato che si attribuisce al termine uomo. Protagora, dice Platone, ha una visione relativista della realtà e con il termine uomo intende il singolo individuo. E allora non esistono più né un vero né un falso, perché ogni uomo ha una propria visione del mondo e ciò che appare giusto a qualcuno può essere sbagliato per qualcun altro.
Socrate invece, il cui merito è proprio quello di aver rivoluzionato la filosofia legandola a problemi etici e alla cura dell’anima, non potrebbe mai negare la presenza di un criterio oggettivo di giustizia o di verità. Con uomo egli intende il genere umano, l’umanità intera.
Per Socrate solo l’uomo può giudicare ciò che è creato dall’uomo stesso, e ciò che non lo riguarda non dovrebbe interessarlo. In effetti quando affermiamo un concetto o esprimiamo un’opinione l’unico punto di vista che possiamo utilizzare è quello umano. E quale altrimenti?
Non siamo in grado di immaginare ciò che va oltre la nostra realtà e per questo cerchiamo di attribuirgli caratteristiche umane. È questo il motivo per cui ci è impossibile tentare di comprendere chi sia Dio e che sembianze abbia e per questo non siamo capaci di immaginare il nulla. Parallelamente ciò vuol dire anche, come scrisse il poeta latino Terenzio che «se sono un essere umano, nulla di ciò che è umano può apparirmi estraneo». L’uomo infatti secondo Socrate deve sempre andare alla ricerca della verità e ciò non è davvero possibile se non si vive in relazione con altri esseri umani. Solo attraverso il dialogo e il confronto con gli altri è possibile la confutazione delle nostre idee e quindi un arricchimento della conoscenza. Ma quella che egli chiama dialettica non è utile solo al fine della confutazione e al raggiungimento della verità. Socrate afferma infatti che «nessuno compie di male volontariamente, ma solo per ignoranza». Questo vuole forse dire che l’uomo è naturalmente incline al bene? Sarebbe impossibile affermare una cosa simile: basta basarci sull’esperienza. Ma l’affermazione di Socrate si basa su un fatto: l’uomo è naturalmente incline alla felicità che nasce dal compiere il bene.
Chi compie il male dunque semplicemente non sa cosa sia il bene. E come è possibile sapere cosa sia il bene? Semplice, il bene è ciò che ci rende felici. E come facciamo a sapere ciò che realmente ci rende felici? Conoscendo noi stessi. È proprio questa l’altra utilità del dialogo con gli altri, la conoscenza di noi stessi. Anche se è vero che Socrate non prende in esame quelli che sono gli aspetti emotivi dell’uomo, attraverso cui la ragione può essere offuscata, io credo che se una persona riuscisse davvero a capire cosa desidera, la ragione e i sentimenti allora riuscirebbero a convivere pacificamente. Anche perché in fondo, si può davvero parlare di una netta distinzione tra i due all’interno dell’essere umano?