Durante la Prima Guerra Mondiale si ricorse spesso alle trincee, come sistema difensivo nelle guerre di posizione: un fossato più o meno profondo, scavato al momento nel terreno, che veniva utilizzato anche come rifugio. Era la tattica necessaria per aumentare le probabilità di sopravvivere, ma se riuscivi a non morire, era come vivere in un inferno.
Le condizioni igieniche erano indecenti: per soddisfare i bisogni fisiologici era presente una buca, nelle vicinanze della trincea, che nei giorni di pioggia si trasformavano in qualcosa di osceno (basta solo immaginarlo per crederci!); altre volte, era la trincea stessa a diventare una latrina. I vestiti utilizzati dai soldati erano gli stessi per settimane, pulci e pidocchi non tardarono a trovare nuovi ‘amici’. Spesso, inoltre, gironzolavano topi o altri animali, che infastidivano i soldati rosicchiando attrezzature e cibarie; come se non bastasse, una delle condizioni peggiori, era dettata dal clima, sia che fosse caldo o freddo, che ci fosse vento o piovesse.
L’idea della morte assillava i soldati giorno e notte, erano obbligati a conviverci: bombardamenti dell’artiglieria, attacchi nemici e soprattutto assalti diretti alle trincee dei nemici. Ora sei vivo, ora hai una pallottola nel petto. Questi soldati sono persone come noi; hanno paura, sono nervosi, stressati, magari vengono presi da attacchi di vomito o di diarrea, alcuni hanno crisi di allucinazioni e trovano l’unica soluzione nel suicidio. Ma allora perchè combattere?
Molti studiosi individuano una ragione nel patriottismo, nel sentimento nazionale; un altro motivo che spingeva i soldati ad andare avanti era la solidarietà tra le piccole unità combattenti. Ma siamo sicuri che i soldati non fossero semplicemente obbligati a combattere dai loro comandanti? Dobbiamo tenere conto che spesso disertare significava essere fucilati dal proprio ufficiale, che – secondo varie testimonianze – si posizionava dietro la truppe con il compito di “serra-fila”, proprio per giustiziare chi voleva defilarsi. anche se un soldato fosse riuscito a scappare, probabilmente non avrebbe trovato rifugio nemmeno in famiglia; disertare non significava solo umiliare la propria famiglia, ma anche ridurla in miseria!