Fin dai primi anni in cui si diffuse in clima di guerra, il cinema divenne un’arma di difesa per il rafforzamento e la mobilitazione ideale del fronte interno. Gli obiettivi inizialmente non erano tanto volti a rappresentare il realismo della guerra quanto invece incitare emotivamente i soldati e quindi favorire un senso di partecipazione economica allo sforzo bellico.
La rappresentazione della prima guerra mondiale attraversò diverse fasi: in un primo momento gli operatori non ebbero accesso alle trincee, perciò la guerra appareva lontana. Nella seconda fase venne esaltato l’elemento umano, il sacrificio e la capacità di affrontare il freddo e gli sforzi. Infine nell’ultima fase gli operatori poterono accedere al fronte così da immortalare nel modo migliore i processi d’industrializzazione in atto nei vari paesi partecipanti al conflitto.
La grande parata di King Vidor fu il primo film americano che rinunciò alla politica della guerra e mostrò per la prima volta la sofferenza delle truppe. Soltanto nel 1930, All’Ovest niente di nuovo, tratto dall’omonimo romanzo di E. M. Remarque, fornisce un’ottica esplicitamente pacifista. Nell’Italia fascista il film fu addirittura bandito.
Il protagonista, Paul, si rende conto nel corso del film dell‘inutilità del massacro e dell’assurdità del conflitto.
Stanley Kubrick nel 1957 propose Orizzonti di gloria che sarebbe diventato poi una delle più famose denunce antimilitariste. L’ambiente di guerra è ricostruito con minuziosa precisione, ma la guerra non era l’unico tema che il regista volesse affrontare. Egli infatti approda anche a riflessioni esistenziali sulla natura umana. I rapporti conflittuali tra soldati semplici e generali e la rappresentazione dell’assurdità della guerra esprimono una personale visione dell’uomo e della società, fondata sulla regola del “più forte”, quindi predisponendo la prevaricazione dei potenti e la sconfitta di chi tenta di opporsi. La prima guerra mondiale è stata, per Kubrick, la scelta migliore in quanto l’assurdità di quel conflitto combaciava bene con l’assurdità stessa della vita.
Il cinema italiano prima di La grande guerra di Mario Monicelli non aveva mai prodotto un film sulla prima guerra mondiale di tale portata. Sembra strano affermare che un tema così delicato fu affrontato con il genere della commedia, in cui i due protagonisti Oreste e Giovanni, per nulla patriottici e poco coraggiosi, si adattano all'”arte di arrangiarsi” facendone un mezzo di sopravvivenza: sono due antieroi che però suscitano una forte umanità. La guerra è vista come un’epopea nazionale, senza accenti antimilitaristi. Nel finale, i due protagonisti riconquisteranno il pubblico con un atto di patriottismo che li conduce alla morte. Proprio questo tipo di finale fu una rivoluzione per la commedia. Inoltre il film restituisce bene l’immagine delle condizioni delle truppe italiane al fronte. Il regista Mario Monicelli ha affermato in un’intervista “È un film su una massa di gente, soprattutto di origine contadina, che combatte una guerra assurda per quattro anni“.