La sapienza non ha forse a che fare con la filosofia? In senso stretto sì, poiché anche senza essere filosofi (ed ognuno di noi in realtà un po’ filosofo è) la prima non può esserci senza la curiosità per la conoscenza. Sebbene i filosofi stessi affermino che una definizione esatta di filosofia non esiste, si può dire, e su questo quasi non si trova dissenso, che essa tragga origine dal desiderio di apprendere dell’uomo. Che, in generale, osservando ciò che lo circonda, si pone delle domande e si ingegna per trovare delle risposte. Così, analizzando le cause e le motivazioni di un fenomeno, ogni uomo accresce la sua “sapienza”.
Era così anche per i grandi filosofi, come Aristotele e Platone.
Ma per i greci più antichi non era così: i veri “sapienti” si limitavano a diffondere la sophìa degli dei, la vera sapienza. Questi ultimi erano per lo più i poeti, che si credeva fossero ispirati dalle divinità e quindi facessero da tramite tra la sfera celeste e quella umana. Attraverso le loro opere, gli uomini potevano apprendere la volontà e il sapere degli dei, poiché esse erano scritte come sotto dettatura e perciò non potevano essere, in alcun modo, contestate. La sapienza così considerata era quindi strettamente legata al mito: anch’essa andava accettata in modo passivo, senza poter essere esplorata ed analizzata poiché costituiva parola divina. In fondo, però, neanche gli stessi poeti erano veramente sapienti: erano solo coloro che trasmettevano ciò che gli dei o le Muse, custodi della saggezza, decidevano potesse essere appreso dagli uomini. Insomma, per gli uomini non c’era alcuna speranza di venire a sapere qualcosa che non fosse voluto dagli dei.
E invece qui entra in campo la filosofia: essa indica un desiderio “laico” di conoscere, e l’uomo che se ne interessa tenta, attraverso mezzi umani, di spiegare la realtà in modo razionale, ma sa che non potrà eguagliare in alcun modo la sapienza degli dei, che, in quanto tali, costituiscono la perfezione. Inoltre, ciò che differenzia questi due tipi di sapere non è, come del resto accade tra mito e filosofia, il fatto che uno dei due persegua la verità, mentre l’altro utilizzi per spiegare ciò che non si conosce racconti inverosimili: a tal proposito bisogna ricordare che, nell’antichità, il sapere poetico, sviluppato in poemi e miti, coincideva con la verità degli dei, che la ragione non poteva comprendere e ancor più criticare. Quindi, anche per quanto concerne il sapere poetico e il sapere filosofico, la differenza principale riguardava il fatto che per il primo non era necessario servirsi del lògos, cioè della ragione, che invece diveniva elemento essenziale nel secondo. Questa disciplina finì così per sostituire progressivamente la poesia laddove gli uomini iniziarono a dubitare che i poeti agissero per mano divina. Però, può incuriosire il fatto che filosofia e poesia in fondo abbiano, o meglio, avessero qualcosa in comune, la sapienza: dopotutto oggigiorno mai si potrebbe considerare sapiente una persona che si limita a fare da portavoce di altri.