Si legge nella circolare Prot. n.0000330 del 20 gennaio 2012, a firma del Ministro F.to Francesco Profumo:
“La Legge 211 del 20 luglio del 2000 ha istituito in Italia, come in molti altri Paesi del mondo, il “Giorno della Memoria”, allo scopo di tramandare e rafforzare nei giovani la consapevolezza della Shoah, renderne sempre vivo il ricordo e tributare il doveroso omaggio alle vittime e a chi si oppose al progetto di sterminio nazista, sacrificando la propria libertà e la propria vita.
E’ stata scelta in Italia, come nella maggior parte dei paesi del mondo, la data del 27 gennaio, giorno in cui nel 1945 vennero aperti i cancelli del campo di sterminio nazista di Auschwitz…”
Pubblico la testimonianza scritta, lasciata ai propri figli e nipoti, di un giovane di allora che visse la prigionia da settembre del 1943 a maggio del 1945, prima nei campi di concentramento M. STAMMLAGER VI-J, KREFELD FICHTENHAIN e ARBEITS-KOMMANDO Nr. 1162J e poi nel campo di lavoro AUGUST ENGEL – VELBERT (lavoro svolto in condizione di schiavitù).
“Sono stato fatto prigioniero il 9 settembre 1943 alla stazione ferroviaria di Reggio Emilia ed a breve tempo sono stato spedito in Germania, chiuso in un vagone merci senza vitto né acqua. Dopo cinque giorni di viaggio infernale e diverse ore di marcia, sono giunto al campo di concentramento di Meppen, situato a pochi chilometri dal confine olandese. Dieci giorni dopo sono stato portato a Velbert in Renania nell’acciaieria AUGUST ENGEL, dove sono rimasto fino alla primavera del 1945 fra stenti, fatica e fame. All’inizio il vitto era accettabile ma in seguito le razioni cominciarono a diminuire ed in proporzione diminuiva il mio peso ridotto ormai a 37 chili (altezza 175 cm). In quelle condizioni ero diventato un automa, senza volontà né spirito di conservazione; non ricordavo e nemmeno pensavo alla mia famiglia, ero diventato un numero, il numero 120 e nulla più.
Giunse la primavera del 1945, mi incolonnarono con altri provenienti da altri campi e ci fecero camminare per una settimana, senza sosta, giorno e notte mangiando l’erba del ciglio della strada e bevendo l’acqua dei canali. Eravamo partiti in duemila circa ma verso la fine della settimana di passione (era la Settimana Santa del 1945) eravamo rimasti poche centinaia di relitti umani. L’intento era di portarci fuori in tempo dalla sacca della Rhur, ma l’ottava armata americana chiuse il cerchio e ci fermammo. Dopo tre giorni eravamo liberi. Eravamo a Meinerzhagen (Altena) dove gli americani avevano organizzato dei centri di raccolta degli ex deportati e internati. Seguirono spostamenti vari e poi finalmente a casa.
Era il 12 settembre 1945, avevo 23 anni, ma mi sentivo vecchio e stanco.”
Inutile dire che il ricordo di quello che si è visto e vissuto rimane indelebile nell’animo e condiziona pesantemente la vita futura di un individuo.
In queste poche righe “il giovane di allora” ha semplicemente esposto i fatti ed ha omesso alcuni particolari, che ha invece raccontato di persona. Ne cito solo due, che mi sembrano significativi :
1) durante il periodo vissuto a Velbert, un soldato tedesco aveva cercato di far pervenire loro del cibo ed aveva pagato con la vita quel gesto di umanità. Una volta liberato il “il giovane di allora” con altri due sopravvissuti si recò a casa del soldato tedesco per aiutare la moglie con figli piccoli e per garantire loro protezione in quel periodo di rappresaglie;
2) la sera precedente la liberazione i tedeschi portarono ai pochi prigionieri rimasti barattoli di marmellata avvelenata, in modo da non lasciare testimoni. Per fortuna un vecchio alpino capì immediatamente quale fosse l’intento degli aguzzini, che nel frattempo si erano dati alla fuga, lasciandoli rinchiusi in un capannone. Cercò di bloccare i giovani affamati, ma solo alcuni riuscirono a salvarsi.
Spero che il ricordo dei genocidi non venga mai meno e si diffonda tra i giovani la consapevolezza di quali enormi e devastanti effetti possa determinare l’odio dell’uomo contro l’uomo.
Mi piace citare questa frase del Premio Nobel Gunter Grass
“Anche se i nostri figli e nipoti non sono colpevoli, porteranno sempre la responsabilità di far sì che il passato non si ripeta”
Vi consiglio il seguente filmato (“SALVI PER CASO” di Antonio Ferrari e Alessia Rastelli) , se avete la curiosità di ascoltare la testimonianza di otto degli ultimi testimoni viventi (Goti Bauer, Benjamin Capon, Liliana Segre, Heinz Salvator Kounio, Franco Schonheit, Nina Benroubi, Nedo Fiano, Rachel Revah)
Mio padre è morto 6mesi fà è stato nel M.StammlagerVI-J Krefeld Fichtenhain,è stato salvato da un contadino Tedesco che l’ha rifocillato e nascosto fino all’arrivo dei Canadesi e Americani.Si chiamava Anton Bender.Come potrei rintracciare gli eredi? Era un desiderio di mio padre,ma temeva di riaprire dolorose ferite e ricordi terribili.
Anche mio padre, che è morto ormai da due anni, avrebbe voluto ritrovare la famiglia del soldato tedesco che aveva cercato di aiutarli, ma per paura di riaprire un capitolo tragico della sua vita non lo ha mai fatto. Almeno lei ha le generalità della persona e può rivolgersi o al consolato tedesco o ad associazioni di ex-deportati (per esempio “Gli schiavi di Hitler”). Io non saprei proprio come fare : non ho nè un nome nè un luogo di riferimento. Mi piacerebbe sapere se riuscirà nel suo intento.
Mio padre mi disse che c’era un tenenteSS e un sergente che aiutavano con cibo e sigarette i prigionieri.Alla liberazione del campo i prigionieri aiutati,accerchiarono il tenente e con le armi spianate lo salvarono dalla furia di prigionieri allo sbando che non lo conoscevano.Fu consegnato agli alleati che gli affidarono un incarico.Sicuramente anche mio padre,se avesse avuto per le mani gli ufficialiSS e quei militari che lo avevano massacrato con un nerbo di bue e botte e poi fatto sdraiare nel fango e camminato sopra,li avrebbe strozzati.Per molti anni mio padre di notte nel sonno urlava e si sedeva nel letto.Il medico di famiglia ci disse che erano i traumi subiti nei lager e che ci sarebbero voluti molti anni prima di guarire.I traumi passarono ma i ricordi terribili no.Ogni tanto guardava la sua Croce di Guerra e piangeva,pensando cosa gli era costato quel pezzo di metallo.Era stato più volte invitato a dare testimonianze nelle scuole oppure a ricevere medaglie ed onoreficenze per ex internati ma lui rifiutava sempre con le lacrime agli occhi e diceva che i veri eroi erano quelli che non erano più tornati.Anche se alla sua veglia funebre è arrivato un nonnino con il bastone,mai visto prima.Volle abbracciare per l’ultima volta mio padre,che gli salvò la vita durante la marcia della Morte che gli fecero fare i tedeschi dopo la loro cattura a Spalato.Il mio rammarico è che quando mi raccontava queste cose quasi non ci credevo.Purtroppo un nonnino malfermo che voleva salutare per l’ultima volta mio padre e i documenti che mio padre custodiva gelosamente dalla nostra curiosità,mi hanno fatto capire che avevo capito poco di quello che era successo a mio padre quando aveva compiuto da poco i ventanni e che non mi raccontava un film di Sylvester Stallone,ma quello che aveva fatto lui.
Sig.Tiziano la ringrazio della sua testimonianza. Anche mio padre Giovanni fu catturato a Spalato e dopo spedito in Germania allo stalag VI J . Ciò che ha scritto sono le stesse cose che mio padre mi raccontava con le lacrime agli occhi. Sa esiste qualche testimonianza di quel luogo. Se esiste vorrei visitarlo. Grazie e saluti.
mio babbo MONALDI GIUSEPPE è morto in questo Lager di fame e di stenti il 1° maggio 1945
Mio padre, ormai morto da diversi anni, è stato involontario “ospite” dello Stalag VI J (matricola 6834 – dati desunti dalla piastrina di prigioniero di guerra in mio possesso) dall’8 settembre o giù di lì (era stato in Grecia) alla liberazione da parte degli alleati nel ’45.
Ricordo che raccontava che era costretto a “lavorare” (si fa per dire) in una fabbrica di locomotive, ma non so altro di preciso……. che andava a rubare patate assieme ai suoi compagni di sventura e le cucinava alla meno peggio per mezzo di uno sfiato di vapore ad alta pressione in questa fabbrica……
Mi piacerebbe sapere qualcosa di più, magari qualche testimonianza di qualche suo ex commilitone su quella sua disgraziata “avventura”, e se possibile, l’esatta ubicazione del suddetto campo.
Ringraziando.
Buongiorno,
mio padre è stato prigioniero lavoratore nel campo VIJ ed è deceduto il 12 aprile 1945 sotto un bombardamento alleato insieme ad altri 9 commilitoni. Tutti soldati ignoti. Dopo tante peripezie nel 2014 il Ministero della Difesa Onorcaduti mi ha concesso l’effettuazione dell’esame del DNA sulle dieci salme che nel 1958 erano state trasferite nel Cimitero di Amburgo. Il giorno 11 dicembre 2014 sono state fatte le esumazioni dal personale dell’Istituto di Medicina Legale di Amburgo e l’esame è stato positivo. il giorno 25 maggio 2015 mi è giunta una piccola cassetta con i suoi resti ed il 30 c’è stata una solenne cerimonia presso la cattedrale di Perugia. La mia gioia è infinita. Dopo 70 anni ho ritrovato mio padre.
Grazie dell’ospitalità in questo forum.
Franco Roscini
Gentile Sig. Franco Roscini,
sono felice per lei e per la sua famiglia di aver finalmente ritrovato suo padre e di aver avuto la possibilità di dargli una degna sepoltura nella sua terra natia. Capisco la sua fatica e condivido la sua emozione. Credo di poter parlare anche a nome dell’intera comunità del Cavino, nell’esternarle di essere onorati di ospitarla nel nostro piccolo forum. Grazie a lei per la sua testimonianza.
Cordialmente
Maria Grazia Gualazzini
Grazie a Lei per le sue parole.
Ad oggi non ho ancora ripreso tutte le mie facoltà data l’enorme emozione. Dopo 74 anni sono tornati inseme i miei genitori.
Un caro saluto
Franco Roscini
Un forte abbraccio a Lei, uno dei pochi rimasti che con determinazione, coraggio e forza d’animo ha saputo ricongiungere i suoi genitori. So cosa vuol dire gestire, in paesi diversi dal nostro, certe pratiche burocratiche e non. Capisco la sua forte emozione e il suo attuale “sbandamento”. Ha tutta la mia ammirazione.
Maria Grazia Gualazzini
ho scoperto da poco che mio padre e’ stato a Velbert in un campo di prigionia grazie agli archivi Aroldes che hanno messo on line copie delle registrazioni di quel periodo. Non so molto altro perche’ mio papa’ non ne ha mai voluto parlare. Era nato nel 1924 a Treviso, fatto prigioniero 8 settembre 1943 a Mantova e liberato dagli americani . Purtroppo e’ morto nel 2008 . Mi diceva sempre che il suo pasto era fatto di buccie di patate e che quel poco che guadagnava nel campo di lavoro lo consegnava ai tedeschi per ottenere del cibo .
Avrei voluto che lui mi raccontasse di piu’ ma era come se la sua mente avesse voluto rimuovere quel periodo e tutte le sofferenze patite. Solo qualche mese prima di morire mi disse che sarebbe voluto tornare in quei posti per vedere cosa fosse rimasto di quel brutto periodo.
Siete stati forti e coraggiosi. Avete tutta la mia ammirazione e il mio rispetto e affetto
Gentile signora Emilia, trovo nel suo commento molte analogie con la storia di mio padre, anche lui prigioniero a Velbert, classe 1924, purtroppo morto giovane, per cui no ho molte sue testimonianze, anche lui mi diceva di aver mangiato bucce di patate ma ne parlava in modo sereno senza nessun risentimento. Grazie per il suo commento.
Mio nonno è stato nel campo di Velbert, lavorava in un’acciaieria di notte dove svuotava dei forni. Catturato a Reggio Emilia l’8 settembre è transitato per il campo di Meppen e poi a Velbert fino al 1945. E’ morto nel 2012 ma sono riuscita a riportarlo a Velbert nel 2001 a rivedere quei luoghi. La fabbrica dove lavorava in Kirkstrasse n.22 non c’era più, ma al Comune ci hanno dato un libro fotografico dell’epoca che la raffigurava. Mi ha parlato di un sorvegliante del campo che l’ha salvato portandolo in un ospedale civile dopo aver contratto la difterite. Il suo nome era Herman Slocher classe 1907. Dalle ricerche all’anagrafe è rimasto a Velbert fino al 1972 poi se ne sono perse le tracce. Non ha mai voluto raccontare ciò che gli era successo in quel posto e questo mi dispiace. Quando è tornato a casa nell’agosto del 1945 pesava 38 kg (alto 1,80 m) e per anni ha avuto incubi e parlava in tedesco nel sonno. Il suo nome era Mario Zana. Vorrei avere notizie in più se qualcuno ne ha. Grazie
Mio padre carabiniere a cavallo assegnato al gruppo squadronidi Roma, fatto prigioniero dai tedeschi il 7 ottobre 1943 e deportato in Germania. Non sono riuscita a scoprire il campo perché lui non ne parlava. Lui e mancato da tanti anni e mi piacerebbe sapere in quale campo era stato destinato, Dal foglio matricolare ho solo un documento del lager XVIIIA del 2 settembre 1944 e liberati in maggio del 45. Ho tanto cercato nella lista dei nomi degli internati che sono ritornati a casa ma non sono riuscita a trovare il suo nome Braida Giuseppe nato a San Giovanni al Natisone UD il 13/03/1924. Dove posso cercare? Ringrazio e spero di avere qualche notizia
Ha provato al distretto militare di Udine in Viale Armando Diaz, 3? Mio fratello ha trovato parecchia documentazione su nostro padre Della Savia Giordano del 1921, anche lettere scritte dai familiari e mai ricevute, sono custodite lì.
Mio nonno Camillo fu internato nel campo, catturato l’otto settembre alla Stazione di Bologna. Si salvò perchè disse che sapeva zappare e veniva mandato nei campi dei contadini che confinavano con il lager. Quando tornò pesava trentaquattro chili e passò tutta la vita a cercare di rintracciare i suoi compagni di prigionia. Mi raccontava le sue storie di prigionia quando io ero un bambino ma lo ascoltavo annoiato. Ora, con l’età, ho compreso quello che aveva nel cuore e che lo segnò per tutta la vita. Grazie