Il punto è che un momento d’irreversibilità della questione ambientale può raggiungersi solo al perdurare di una società industriale. Ma se questa rimanesse attiva, non potrebbe far altro ch’investire, come già fa, sulle tecnologie, poiché sono fonte di guadagno immenso –forse la principale radice di ricavo.
La riflessione sull’inquinamento, nella società industriale, non ha ragione d’esistere, forse, perché la tecnica dei prossimi cinquant’anni permetterà di ridurre l’impatto delle prime décadi del XXI secolo.
Distrutto invece il sistema industriale, la preoccupazione ambientale non avrebbe ragione d’esistere ugualmente: le tecnologie a disposizione dell’uomo rimarrebbero solo quelle di stretta praticità alla sua sopravvivenza, non inquinando considerevolmente: sono gli strumenti che aggiungono caratteristiche non prerogativamente dell’uomo ad inquinare, difatti.
In pochi anni, la Terra farebbe a pezzi le minacce alla Natura, oggi valide.
La riflessione ecologica potrebbe non essere che una caratteristica dei nostri anni; ma non un motivo di riflessione fondamentale.
Scomparirà in ogni caso: sistema industriale o non.
Se invece si volesse sostenere che la fiducia nella tecnologia non deve essere così mìope e che nel dubbio bisogna comunque salvaguardare l’ambiente –anche ipotizzando che le tecnologie di domani potrebbero non essere così potenti come ci aspettiamo–, io dico che il congelamento nel Progresso della civiltà porterebbe lo stesso ad una morte del sistema industriale: le grandi potenze si troverebbero ad avere a che fare ben presto con un mercato saturo.