L’amore di Eraclìto. Vivere di morte, morire di vita.

Introduzione alla marea di fogli rilegati
In queste età di silicio. E di antiche fermetazioni.

Bruciate; raccolte dal fondo della terra più chiara, dei cadaveri dei sassi. Sono la carta e la grafite che mi lasciano ascoltare le carezze dei respiri veri. E non delle risate scritte: fermiamo il progresso adesso e viviamo della nostra stupidità per sempre.

Post scriptum: Lo strumento infinito dell’amore: di uomini; di donne; di amanti; di prati. Di capanne costruite da bambini col cuore impazzito. Di biciclette. Che non esistono.
Ragazzi che vogliono scavalcare il cielo e le foreste. Che vogliono liberarsi dal petrolio e anche senza questo visitare la cascina dispersa fra i campi. Illuminata la notte. Abbandonata il giorno.
Di caricature e di emozioni. Di risate dal cuore pesante; dal cuore teso. Gli ultimi attimi prima che i muscoli si congelino e perdano forza.
Amore; mi avevi fatto credere che non sarebbe finita mai. Mi avevi convinto che quel greco che sbuffava sulle scale della scuola di Atene; sbagliava. Mi avevi indicato, con le dita del tuo genio, il soffitto della gabbia e mi avevi fatto credere che la ruggine fosse la Via Lattea. Non ti capiranno quando descrivevi le grandi donne e montavàmo grandi soppalchi sull’asfalto, con la cartella sulla schiena, per giacere con la pelle del dio. Giovani incarnati nel pugno. Stretti; fra i polpastrelli che spruzzano concentrato di volontà, di intelligenze, di attrazione, di baci, di sorrisi, di pelle morbida, di sigarette spente sulle spalle. Concentrati di dispiaceri, ad ogni schiaffo al vecchio che con insistenza chiamava ogni pomeriggio per offrirci l’ennesima offerta; e pensavamo all’umiliazione di quel vecchio, fra ragazzini in carne, ch’era costretto a riempirsi le orecchie del mondo e a tenere i piedi sul terreno, con la polvere fra le caviglie, schiacciato dal sogno ripiegato e dalla forma dei figli grassi, caduti invece dal paradiso come gentili bonsai.

L’ultimo soffio della natura.

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