Se gli dei sognassero sarebbero straccioni allo specchio.

E’ tutto un sogno. Vi sveglierete fra qualche istante e dovrete ricominciare da capo. Si sà. L’impressione che désta i sogni ha un’impronta enorme rispetto alla durata del processo cerebrale che li genera. Di questo sogno diciottenne potrebbe rimanere una briciola; la stessa insignificante sensazione che lasciano i sogni dopo qualche ora dal risveglio. Tutto intorno è sogno. Immaginatevi non più fermi esseri umani, ma pòllini dispersi nel bordello del magnaccia aereo: nessun appiglio, nessun riparo. La nostra speranza starebbe nel non svegliarsi mai.

Questo c’è però dopo la morte: un altro sogno. Questo quaderno, questa matita, la mia immagine ritratta sullo specchio lucido, voi, amici, le femmine che amo; voi, siete desideri del mio io assetato. Intorno a me girate come cancri, ballando con gli occhi rivolto al perno, manovrati da un annoiato marionettista, figlio mio, barbaro, già disconosciuto e disamato, mio licenziato ex-dipendente.

Domani mattina vivrò un’altra volta la realtà delle quattro stagioni, del profumo degli umori umani, della Terra tonda, degli aerei e dei sottomarini, dell’imbuto e dei computer. Della s***** e delle macchine da scrivere. Del sangue. E della linfa. Della morte, dipinta ad olio, popolare, democratica, selettrice, che porta via a vagonate gomme nere consumate e bruciate.
Tutti morirete. A parte me.

Sono un essere immortale che sogna Sogni dalla durata finita che collassano in sè. Voi non vedrete la mia morte. Quando smetterò di esistere, tutto smetterà di esistere e come sabbia cadrete dentro un densissimo buco spazio-temporale. La matrice creativa che ci ha creato muterà algoritmi, con gli stessi strumenti del primo sogno, et voilà: un altro me e un altro voi. Come barchette paraffinate danzanti, cadute per sbaglio nell’Oceano; àlbatros dalle ali bucate. Ridicoli ballerini di Classica col culo basso, il collo grosso e i piedi piatti.

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