Dal mio diario
Rieccomi in terza.
«E come può essere un affare soltanto individuale ciò che serve a regolare i rapporti con gli altri?» ci chiedevamo la settimana scorsa.
«Prof, ognuno deve rispondere alla propria coscienza. Questo è l’importante. Se sei a posto con la tua coscienza, va tutto bene» insiste Crimi.
«Giusto, Crimi, bisogna seguire la coscienza, ma la coscienza ha sempre ragione?»
«?»
«Immaginiamo un soldato delle SS. Uccide gli ebrei: glielo hanno ordinato i suoi superiori, le massime cariche dell’esercito e dello Stato. Gli hanno anche spiegato che gli ebrei sono un grave pericolo per la comunità nazionale, anzi, una minaccia per il mondo intero… Si sente a posto con la sua coscienza»
«Beh, fa una cosa sbagliata, ma è in buona fede» azzarda qualcuno.
«Immaginiamo una donna africana immigrata in Italia. Pratica l’infibulazione alla figlia. così le hanno insegnato. Pensa di far bene».
Insorgono le ragazze: l’infibulazione è sbagliata, punto! Non c’è differenza culturale che tenga.
«Seguire la propria coscienza è una bella cosa – continuo io – ma non basta: la coscienza può anche sbagliare e, in qualcuno, sembra sin troppo mutevole ed evanescente. La coscienza deve essere libera, ma la sua libertà non può essere arbitrio: rimane comunque sottomessa al vero ed al bene. La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri».
«E come facciamo a capire se la coscienza sbaglia?»
«Da qui alla fine della quinta avremo molto tempo per cercare di rispondere. però Aristotele un po’ di aiuto ce lo dà. Prima di tutto dice che l’uomo ha un fine, uno scopo. Ora, se io so qual è il fine dell’uomo e so in che condizione sono io e in che condizione sono gli altri, posso capire meglio quali scelte aiutano a raggiungere il fine»
«Già, ma come facciamo a sapere qual è il fine dell’uomo?»
«Non è facile, in effetti. Sulle proposte di Aristotele la discussione è ancora aperta e son passati un po’ di secoli. Pero ci sono alcuni punti fermi da cui partire per cercare di rispondere»
«Quali?»
«Semplificando molto, che cosa ci insegna Aristotele dell’uomo?»
«Che è un animale razionale e politico»
«Che vuol dire politico? Significa che Brunetta, Formigoni e D’Alema sono un esempi di esseri umani ben riusciti?»
«?»
«In quale altro modo potremmo tradurre questo politico?»
«Potremmo dire comunitario» suggerisce la signorina Torello (quanto mi piace averla in classe).
«Vi sembra giusto? L’uomo è razionale? É comunitario?»
Sul razionale son tutti d’accordo.
«Comunitario?»
Risponde ancora la signorina Torello: «Secondo me, Aristotele ha ragione: se l’uomo parla è un animale comunitario».
«Bene, allora – concludo – varrà la pena di cercare risposte non soltanto razionali, ma anche comunitarie. Chi rifiuta di considerare le ragioni degli altri nega due volte la propria umanità: si nega come essere razionale e come essere comunitario».
Alcuni mi guardano un po’ ebeti. La signorina Torello assente. Quanti avranno davvero capito?
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