Questione di accento

L’abbiamo studiata alle elementari.
Parlo della poesia di Gianni Rodari Como nel Comò. D’accordo, io sono un po’ più vecchio: non l’ho studiata, l’ho fatta studiare. Però è simpatica. Eccola qui:

Una volta un accento
per distrazione cascò
sulla città di Como
mutandola in comò.

Figuratevi i cittadini
Comaschi, poveretti:
detto e fatto si trovarono
rinchiusi nei cassetti.

Per fortuna uno scolaro
rilesse il componimento
e liberò i prigionieri
cancellando l’accento.

Ora ai giardini pubblici
han dedicato un busto
“A colui che sa mettere
gli accenti al posto giusto.”

Perché la cito?


Perché, cari studenti, da noi si fa di più. Non viene cambiato soltanto il destino di una città. No, si mette in discussione un’intera tradizione metafisica, si attaccano le fondamenta delle nostre certezze.
Ci son peccati veniali, come quando un “però” diventa “pero”. Se i frutti son buoni…
E ci son peccati mortali.

Lo aveva ben capito Agostino d’Ippona: anche quando mi inganno, sono sicuro di essere.
Lo aveva proclamato Cartesio: penso dunque sono. Una verità più salda della Rocca di Gibilterra.
Lo aveva riaffermato Immanuel Kant contro le fantasie di Hume. Un principio resta fermo: Io penso.

Secoli di filosofia, grandiosi monumenti del pensiero, vengono ora distrutti, con placida noncuranza, da uno studente distratto. Quando la certezza del “sé” viene spazzata via dalle nebbie del “se”, che cosa resta ancora di intatto?
Se neppure della nostra identità siamo più certi, a che cosa potremo aggrapparci?

Non siete convinti?
Dirò qualcosa di più semplice: chi per primo non è sicuro di sé, rischia di esser travolto dai se.

C’è speranza?
Il rimedio è semplice: basta mettere gli accenti al posto giusto.

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