In un giorno di pausa dell’esame di stato, mi trovo a passare da Custoza, Verona, sulla strada per Milano.
Vigneti e cipressi nel sole ardente. Intravedo sulla destra l’obelisco sul colle.
Entro a piedi nello spiazzo con ghiaia (Zona Sacra) e scendo nel basamento dell’obelisco. Fresco e ombra. Sgomento.
Scaffali coi resti di antichi soldati. Proprio qui (“Onore ai forti che caddero su questi campi, 1848-1866” recita una lapide) vissero il loro ultimo giorno migliaia di giovani piemontesi, lombardi, veneti, trentini, austriaci, tedeschi, ungheresi, cechi e polacchi. Vittime ed eroi dell’eterna guerra civile europea. Ciò che si vede sulle mensole
ha nome e cognome e, come dicono gli ebrei, un uomo è nel suo nome.
Torno all’auto colpito. Voci venete si rincorrono nei vigneti. Profumo di fiori e canto di grilli.
Mio caro omonimo, non a caso amo anch’io i cimiteri di guerra, che mi suggeriscono analoghi pensieri. A Custoza, però, non sono ancora stato.