Può anche darsi che il mio sia“reducismo”, ma quando passo nei pressi di via Mancini a Milano, non posso fare a meno di ricordare il giorno in cui sono stato aggredito da una gruppo di neofascisti. La mia unica colpa era quella di indossare un eskimo e di essere passato troppo vicino alla sede del M.S.I.
Ricordo i particolari: le pistole sfilate dalle fondine, un coltellaccio puntato contro il petto e poi un balzo disperato che mi fa rotolare verso la strada. Ricordo la frenata violenta della macchina che sopraggiungeva, la gomma della ruota che si blocca fino al contatto con i miei capelli e poi ancora uno scatto e la fuga verso la salvezza.
Voglio ricordare anche il mio amico Gaetano Amoroso, accoltellato e ucciso a 21 anni il 27 aprile1976, da un gruppo di squadristi neofascisti. Quella sera avrei dovuto essere con lui e solo un po’di influenza mi ha costretto a stare a casa.
Soprattutto questo mi viene in mente se penso a quegli anni, anni belli e terribili allo stesso tempo.
Belli perché eravamo giovani e pensavamo di cambiare il mondo, terribili per lo stato di tensione in cui si viveva ogni giorno.
Bisogna riconoscere al regista Pernich il coraggio di aver messo in scena un tema difficile, una pagina di storia che deve ancora essere scritta fino in fondo, senza segreti di Stato e omissis.
STRAORDINARI I RAGAZZI IN SCENA ! Hanno interpretato con passione le speranze e le contraddizioni di noi giovani di un tempo.
Prof,
per fortuna quel salto l’ha salvata se no chi ci avrebbe insegnato Michelangelo o Caravaggio.
Caro professore,
deve essere stata una sensazione bruttissima…
Per gente del genere non deve esistere il perdono!
non abbiamo raccontato esperienze come la sua…ma in quell’epoca al tempo stesso lontanissima e vicinissima succedeva anche questo.come accadeva anche viceversa e spesso anche tra gente della stessa “parrocchia”, ma invasata a tal punto da pestarsi tra trozkisti e leninisti.
e se le abbiamo evocato un ricordo, seppur brutto, sarebbe il miglior complimento che ptremmo ricevere. il teatro è arte e l’arte deve riuscire per lo meno a sfiorare l’anima delle persone. o mi sbaglio? in fondo lei è un professore d’arte no?
grazie per la testimonianza.
L’episodio raccontato da Colavolpe (veramente da paura) mi ha fatto ricordare l’uccisione in via Mascagni dello studente del “Settembrini” Alberto Brasili (25 maggio 1975). Anche lui aveva semplicemente l’eskimo e per questa sola ragione fu accoltellato a morte. Ad analoga sorte sfuggì per puro miracolo (questione di pochi centimetri e avrebbero spaccato il cuore anche e lei) la fidanzata Lucia Corna, che lo accompaganava . Alberto Brasili non aveva mai fatto del male a nessuno, era semplicemente “di sinistra”.
Alla fine di aprile dello stesso anno era morto Sergio Ramelli, studente del “Molinari” che un mese e mezzo prima era stato aggredito a sprangate dai “compagni” perché “di destra”.
Accanto agli idealisti di una parte e dell’altra che volevano cambiare il mondo, vi erano importanti frange violente che usavano la politica come pretesto per dar sfogo al teppismo e alla brutalità. Credetemi, non erano affatto tempi belli, per questo detesto ogni forma di reducismo. Erano i tempi in cui eravamo giovani noi, ed essere giovani e avere la vita davanti è meglio che essere vecchi e averla dietro le spalle: ma non dobbiamo rimpiangere quei tempi cupi.
Ancora: la via in cui si trova la nostra scuola è intitolata a Guido Rossa, operaio genovese e alpinista di valore, che non si era baloccato con lo slogan “né con lo stato, né con le BR”, ma si era schierato in difesa della legalità repubblicana. Fu giustiziato sotto casa il 24 gennaio 1979 dai sicari delle BR perché sveva denunciato e fatto arrestare il brigatista Francesco Berardi, infiltratosi nell’Italsider di Genova. Gli fu conferita la medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Sindacalista componente del consiglio di fabbrica di un importante stabilimento industriale, costante nell’impegno a difesa delle istituzioni democratiche e dei più alti ideali di libertà. Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare a fini di giustizia nella lotta contro il terrorismo e cadeva sotto i colpi d’arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da appartenenti ad organizzazioni eversive. Mirabile esempio di spirito civico e di non comune coraggio spinti fino all’estremo sacrificio. Genova, 24 gennaio 1979.»