Il 25 aprile è una festività nazionale: come tale, non dovrebbe essere costituire l’occasione per consolidare antichi odi e vecchie contrapposizioni ideologiche: dovrebbe bensì essere celebrata in un clima di concordia.
Il 25 aprile, festa della Liberazione, è l’anniversario della conclusione della seconda guerra mondiale. Dall’estate 1943 sino alla liberazione la nostra penisola era stata (ancora una volta, come spesso già era accaduto nei secoli passati) terreno di scontro fra eserciti stranieri contrapposti: da una parte i Tedeschi, nostri ex alleati, e dall’altra gli Anglo-Americani. Gli Italiani? In parte combattevano agli ordini degli Anglo-Americani, in parte, sotto le insegne della Repubblica Sociale Italiana, accanto ai Tedeschi. Altri ancora, datisi alla macchia, diedero anima e corpo alla Resistenza e collaborarono attivamente, con azioni di disturbo e attentati, all’avanzata anglo-americana. Nel frattempo, in Italia come nel resto d’Europa, i nazisti rastrellavano gli Ebrei e li avviavano a campi di sterminio, perseguendo la “soluzione finale” del “problema”. Si susseguivano in quegli anni orrori e violenze di ogni genere, quelli che ogni guerra porta inevitabilmente con sé: bombardamenti che seminavano strage fra la popolazione civile, attentati e rappresaglie; né potevano mancare terribili violenze sessuali sulle donne, spesso perpetrate dalle vaiopinte truppe di occupazione che gli alleati portavano con sé (rileggersi “La ciociara” di Moravia).
Il 25 aprile 1945, non senza un doloroso strascico di persecuzioni e di vendette personali, tutto questo finì. La generazione dei nostri padri, la cui adolescenza era stata cancellata dalla guerra, potè finalmente uscire dall’incubo, rimboccarsi le maniche e ricostruire il paese.
Prima che la guerra finisse, i vostri coetanei di allora avevano dovuto fare scelte drammatiche, a rischio della propria vita. Arruolarsi nell’esercito della Repubblica di Salò e combattere accanto ai Tedeschi (col rischio di essere deportati in Germania)? Disertare e unirsi ai “banditi” partigiani, rischiando non solo la propria fucilazione, ma anche rappresaglie a danno delle proprie famiglie? In questo dramma, ciascuno cercò e trovò la propria personale soluzione. Molti, da una parte e dall’altra, pagarono con la vita. Tutti questi ragazzi di vent’anni erano cresciuti in una scuola e in una società pervase dall’idologia fascista, non erano certamente nelle condizioni migliori per operare delle scelte autonome. E poi, quanti di loro ebbero piena consapevolezza della proprie scelte? Quanti di loro erano animati da ferree convinzioni? Quanti, ancora, furono trasportati da entusiasmi, ideali ed infatuazioni giovanili?
Ora che sono passati più di sessant’anni; ora che è chiaro a tutti quanto fossero aberranti le ideologie totalitarie del novecento; ora che i ventenni della seconda guerra mondiale sono quasi tutti scomparsi, ha ancora un senso rifiutarsi di ricordare con lo stesso identico senso di “pietas” tutti i giovani di allora? Tutti, indistintamente, i settecentomila Italiani morti di quegli anni? E insieme a loro i milioni di morti che l’Europa e il Mondo dovettero immolare nella strage orrenda della guerra? Può finalmente, anche per loro, suonare quella campana della pace che tutti i giorni, a Rovereto, abbraccia con i suoi rintocchi tutte le vittime delle Prima Guerra Mondiale, senza distinzione di razza, di nazionalità, di religione, di fede politica?
Potrebbe ma non può, dovrebbe ma non può..
Quanti insulti alla resistenza, quanti a coloro che si schierarono con la repubblica di Salò, quanti ancora a mille e altre persone.
Perché siamo divisi come è giusto che sia, dalle nostre idee, ma lontani, troppo lontani per vedere che al di là dei nostri pensieri c’è un bene comune o quello che più gli somiglia.
Ci si scanna ad infangare il buon nome di gente che ha fatto le proprie scelte in nome dell’Italia, della propria Italia, ma non si capisce che a sessant’anni dall’ora bisognerebbe guardare in un’ottica più matura e sicuramente diversa la divisione di quel tempo.
E allora, che sia un venticinque Aprile più simile ad quattro Luglio o ad un quattordici Luglio, con storia diversa, forse qualche dissapore sì, ma all’insegna dell’unità, quell’unità che ogni italiano sa essere ancora molto lontana…
DarIO
Per Dario
Ma chi offende la Resistenza o coloro che hanno combattuto per la Repubblica di Salò? Sicuramente non coloro che furono Partigiani o Repubblichini. Ho sentito molte interviste a Partigiani e nessuno di loro ha mai offeso i propri avversari, anzi hanno massimo rispetto per i propri nemici dell’epoca.
Coloro che aizzano l’odio sono solo le generazioni che la guerra non l’hanno vissuta. Quindi dovremmo tutti imparare dai nostri nonni o bisnonni che hanno capito il vero valore della Resistenza e dell’unita della patria.
Mi spiace, ma non sono d’accordo. Per niente. Il 25 aprile celebra la festa della Liberazione: da cosa? Dal nazi-fascismo. Da quella lotta, da quella scelta di campo è nata l’Italia repubblicana e la sua Costituzione, che non a caso è programmaticamente antifascista. Dimenticarci di questo atto fondativo è grave e pericoloso. Il problema non è quello di onorare i morti (anche Mussolini e Hitler sono morti), ma rinnovare l’impegno etico e civile che allora fece combattere e morire migliaia di giovani per ridare libertà e dignità al nostro Paese. Il rispetto per i morti non c’entra nulla col dovere morale e civile di condividere, ancora oggi, a più di sessant’anni da quegli eventi, la scelta GIUSTA che alcuni giovani di allora fecero in contrasto con la scelta SBAGLIATA che altri compirono. La Resistenza e la guerra di liberazione non sono una partita di calcio dove alla fine ci si stringe sportivamente la mano; e stare da una parte o dall’altra non è una questione di tifo, ma una seria assunzione di responsabilità. Che nulla ha a che fare con l’umana pietà.
Mi scusi Prof, ma non condivido affatto le sue idee sul 25 aprile. Dire che il combattere contro il nazi-fscismo sia un bene e combattere contro gli alleati un male, MI sembra semplificare la storia come fra buoni e cattivi. Con questo non voglio dire che essere fascista o nazista sia giusto, dico solo che anche dalla parte fascista c’era gente che non combatteva per il Duce ma semplicemente per la patria o per la propria famiglia. Quindi è giusto festeggiare come la liberazione della patria da un reggime che la storia ha detto ingiusto, ma non cadere nella trappola di dire che tutti coloro che combattevano per la Repubblica Sociale fossero dei fascistoni.
Nel museo ebraico di Berlino mi ha molto colpito un audiovisivo sul processo di Francoforte contro i crimini di Auschwitz.
In questo audiovisivo, Fritz Bauer, uno dei fautori del processo, rilevava un fatto a mio parere fondamentale.
Ovvero che tali scellerati crimini fossero avvenuti non solo in base ad un lucido folle progetto ma anche grazie al fatto che fossero stati stati permessi, accettati, passati sotto silenzio da una moltitudine di persone, per semplice interesse personale, opportunismo, conformismo.
Non è il fatto che un uomo possa vendere la vita di migliaia di suoi fratelli per un vantaggio personale. Questo fatto, aberrante, è tuttavia piuttosto lineare da comprendere.
Fritz Bauer fa rientrare nella sua accusa anche il conformismo.
CONFORMISMO.
Chissà se al tempo molte persone avessero le idee chiare su chi erano i “buoni” e chi i “cattivi”.
Molte di queste probabilmente si; molte probabilmente no.
Molte, indipendentemente dalle proprie convinzioni in merito, decisero di “conformarsi”. A spese di milioni di vittime innocenti.
Oggi, se viviamo in una Repubblica con una costituzione che all’art. 3 recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” lo dobbiamo sicuramente a quegli uomini che hanno deciso di non conformarsi e di lottare.
Oggi, a distanza di anni, credo sia indubitabile che quegli uomini fossero i “buoni”.
La morale, forse banale, è che conformarsi non è una scelta e non è una giustificazione che solleva dalle proprie responsabilità.
“Che ci posso fare?”, “Tengo famiglia”, “Non ho tempo”, “Ho troppi impegni”. NON SONO GIUSTIFICAZIONI.
Soprattutto i giovani e gli studenti, cioè coloro che hanno la freschezza e gli strumenti mentali, hanno il dovere morale di leggere fra le pieghe di un’informazione sempre più artefatta e sforzarsi di distinguere ciò che è cioccolato da ciò che è..
Possibilmente senza assaggiarlo.
affezionatamente,
Davide Currò
http://www.davidecurro.it
Scusa, Storico in classe, ma per vent’anni il fascismo si è riempito la bocca di “patria e famiglia”, salvo poi trascinare la patria e le famiglie italiane nella tragedia della guerra nazista. I fascisti di Salò hanno combattuto non tanto contro gli Alleati, quanto contro i partigiani (tra i quali, se non sbaglio, c’era anche tuo bisnonno che, te lo ripeto, fece allora la cosa giusta). Davvero non capisco cosa vuol dire che “dalla parte fascista c’era gente che non combatteva per il duce”: i repubblichini combattevano con il duce e per il duce, sottoposti agli ordini e al controllo dei nazisti (ai quali lo stesso Mussolini doveva rispondere). La buona fede individuale non c’entra: si tratta di una responsabilità storica e politica. E tu che sei uno “storico” (anche se in classe) dovresti ben capirla la differenza.
Va bene prof, sul fatto che i fasci-nazisti avevano fatto una scelta SBAGLIATA siano d’accordo.
Ma cosa dobbiare fare e come giudicare tutti coloro che hanno sbagliato.
Esempio un giovane viene a sapere, da sua nonna o suo nonno, che il suo bisnonno ha combattuto la guerra in Abissinia ed era dalla parte dei repubblichini. Deve esserne, non dico fiero, ma almeno rispettoso o cercare di dimenticare questo fatto? Che posizione dovrebbe prendere questo giovane.
Un soldato Italiano ora, va a combattere in Afghanistan, Iraq, Kosovo…
Giusto? Sbagliato? Ci sono dibattiti, per chi dice che la pace non può portare l’elmetto e per chi afferma che solo un controllo militare può riportare in auge la democrazia…
Ci sono dibattiti sull’uranio impoverito usato nelle armi, sui metodi di tortura… etc, etc,
Eppure sono tutti soldati fedeli alla bandiera…
Bisognerebbe dunque denunciarli come anti-patriottici o antinazionalisti se le suddette guerre fossero in un futuro riconosciute come atrocità?
Magari da una società che vivrà nell’armonia più totale e quindi vedrà anche la minima parvenza di guerra come aberrazione del genere umano…
I punti di vista cambiano, bisogna saperli leggere.
Sudisti e Nordisti negli Stati Uniti?
Chi valeva meno di chi altro?
Chi ha vinto era sennato e chi perse un pazzo?
Chi ha combattuto per la causa vincente spesso è quello con le idee più forti e durature ma non vuol dire che se la nazione si dirige da una parte ed un patriotta la segue, questo se perde deve quasi essere considerato inumano.
Il fascismo si è rivelato pretenzioso, illogico e contraddittorio in parte, ma era la strada da seguire per l’italiano medio, una strada che era stata approvata dallo stesso Re, portatore della legislatura italiana, agli occhi del popolo…
E’ difficile cambiare opinione quando la tua scelta ti pare quella giusta, ma questo più che togliere dignità al soldato, lo rende più simile a quanto esso debba essere, un uomo dedito alla patria e pronto ad eseguire gli ordini del comandante…
Più soldato di quanto non lo sia un disertore che combatte contro la propria nazione…già, il partigiano…
Ora è considerato quasi un eroe, ma prima?
I tempi cambiano, ed è giusto che si pensi bene a come inquadrare le persone.
DarIO
Poche semplici osservazioni.
Il 25 aprile è la festa della Liberazione: non è ovvio che si festeggi chi ha contribuito alla Liberazione?
Chi stava dall’altra parte poteva soggettivamente essere un’ottima persona, ma lottava perché non fossimo liberati.
C’erano delinquenti e disonesti tra i partigiani? Sì, ci sono ovunque. Oggi ce ne sono molti anche nel nostro parlamento. Tra i dodici scelti personalmente da Gesù Cristo c’era un traditore (e metteva anche le mani nella cassa).
Questo non toglie nulla alla realtà storica della Liberazione.
Nessuno vuole più infangare il buon nome dei fascisti di allora. Semplicemente non c’è motivo per ringraziarli.
Ci sono, invece, ancora oggi, molti, anche tra gli esponenti della nuova maggioranza di governo, che vogliono infangare il buon nome dei partigiani.
I partigiani non erano disertori che combattevano contro la propria patria: i nostri soldati giuravano fedeltà al re e il re era contro i tedeschi. Il duce era stato destituito dalla carica di capo del governo seguendo una procedura legittima definita dal fascismo stesso. Formalmente, dunque, i traditori della patria erano i sostenitori della Repubblica Sociale Italiana.
Sottoscrivo in pieno il commento del prof. Paganini. Aggiungo una postilla. Caro Dario, essere un soldato “dedito alla patria e pronto a eseguire gli ordini del comandante” non è di per sé un titolo di merito, altrimenti perché condannare gli ufficiali delle SS che, a discolpa dei crimini commessi, sostenevano di avere obbedito agli ordini? Dovremmo forse onorarli come ottimi soldati? Oppure considerare dei traditori coloro che, a rischio della vita, cercavano di aiutare le loro vittime?
Dall’Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione della Festa della Liberazione
Genova, 25 aprile 2008
All’inizio dello scorso decennio, è apparso un saggio storico di non comune impegno e profondità, dovuto a Claudio Pavone, nel quale si sono messi in evidenza i diversi volti della Resistenza, e in particolare, accanto a quello di una guerra patriottica, quello di una “guerra civile”. Tale profilo è stato a lungo negato, o considerato con ostilità e reticenza, da parte delle correnti antifasciste. Ma se ne può dare – Pavone lo ha dimostrato – un’analisi ponderata, che non significhi in alcun modo “confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto un comune giudizio di condanna o di assoluzione”. E questo vale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzarono in tutto il suo corso la guerra anti-partigiana e da cui non fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all’indomani della Liberazione. Le ombre della Resistenza non vanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazioni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, e ai famigliari che ne hanno sofferto la perdita, si può negare rispetto: un rispetto naturalmente maturato, col tempo, sul piano umano. Insomma, è possibile e necessario raccontare la Resistenza, coltivarne la storia, senza sottacere nulla, “smitizzare” quel che c’è da “smitizzare” ma tenendo fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasi forma di denigrazione o svalutazione di quel moto di riscossa e riscatto nazionale cui dobbiamo la riconquista anche per forza nostra dell’indipendenza, dignità e libertà della Nazione italiana.
E a cui dobbiamo anche il contesto di rispetto della nostra sovranità entro il quale fu elaborata la Costituzione repubblicana. Si guardi alla sorte che toccò ai due paesi che rimasero fino alla sconfitta totale coinvolti nella guerra voluta da Hitler, nell’alleanza guidata dalla Germania nazista. Il percorso di definizione di nuovi assetti istituzionali e costituzionali in Germania fu pesantemente condizionato dalla divisione del paese in due zone di occupazione e di influenza. Quel percorso fu affidato, nella zona occidentale, dai governatori militari delle potenze occupanti ai governi dei Länder, e la nuova “Legge fondamentale” fu approvata da un ristretto e provvisorio Consiglio Parlamentare solo nel maggio del 1949. In Giappone, la revisione costituzionale ebbe per base un progetto ispirato dal generale americano MacArthur, del quale prese addirittura il nome.
In Italia, il progetto di nuova Costituzione democratica venne invece elaborato dall’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, fu discusso in piena libertà e autonomia di pensiero e approvato a stragrande maggioranza il 22 dicembre 1947. E’ difficile immaginare quale sarebbe stato il percorso, se l’Italia non avesse trovato in sé la forza per affrancarsi dall’alleanza con la Germania nazista e per prendere il suo posto, grazie al contributo delle sue nuove Forze Armate e della Resistenza, come co-belligerante nell’alleanza antifascista accanto alle formazioni occidentali che combatterono duramente per liberare il nostro paese.
D’accordissimo su quel che dice prof. Paganini, ma il mio ultimo post era rigurado i soldati ed il fatto che vengano insultati. Un discorso legato anche a quanto ha detto lo “storico in classe”, lungi dai miei pensieri il dire che il 25 non sia la festa di un’Italia liberata dal nazi-fascismo.
Per quanto riguarda il post del prof.Cappellini, io ritengo un buon soldato chiunque sia dedito alla propria patria. I partigiani sono stati gran soldati, combattendo per la patria dei valori civili, così come sono stati dei buoni solddati coloro che hanno costitutito la milizia Italiana.
Un re che lascia i soldati allo sbando in guerra, anch’egli dovrebbe essere considerato un criminale.
E poi come diceva il prof.Paganini, di mele marce ce ne sono dappertutto.
DarIO