Voglio scegliere

Mi piace l’idea del Preside di ricondurre i viaggi scolastici alla loro natura originaria: non attività puramente ludico-ricreative, ma innanzitutto e soprattutto culturali. Piacevoli, anzi molto piacevoli; ma pur sempre attività culturali. E proprio perché gradevoli e stimolanti, da considerarsi tra le proposte più qualificanti di una scuola, da riservare perciò a coloro che si dimostrano in grado di apprezzarle e quindi meritarle. Ovviamente non mi riferisco all’apprezzamento della serata in discoteca o della nottata in albergo, tra corse da una stanza all’altra, uso compulsivo di cellulari, stordimento alcolico-cannabitico; penso alla visita della città, alla scoperta della sua storia, delle sue testimonianza artistiche, della gente che la abita. Sono stufo, arcistufo di trascinare durante il giorno gruppi di studenti svogliati e assonnati, che ritrovano la vitalità solo dopo le dieci di sera, eccitati dalla prospettiva di poter fare, finalmente e liberamente, quello che vogliono, cioè casino. E se le cose stanno così, mi domando, perché quei ragazzi non si auto-organizzano un bel fine-settimana al “Residence Ripamonti”? Oltretutto per le famiglie sarebbe un bel risparmio!
Personalmente sento il peso oppressivo della superficialità e del conformismo che mi circonda e cerco di reagirvi anche attraverso il lavoro che svolgo, ma spesso provo una sensazione di impotenza simile a quella di chi volesse arginare un fiume con le mani. Se poi, oltretutto, mi si chiede di assecondare il disimpegno, allora rispondo no. Rivendico invece la libertà e la responsabilità di scegliere, tra i miei studenti, coloro che meritano la mia disponibilità ad accompagnarli a teatro, ad una conferenza, a una mostra, a un concerto, o a visitare una capitale europea, esattamente come fa il mio collega Riccardo Caldarelli quando seleziona i nominativi di chi parteciperà al torneo di pallavolo o di basket. E se vado a visitare un luogo di sofferenza come un campo di sterminio, non voglio con me ragazzini viziati e annoiati, ma persone capaci di emozionarsi e di chiedersi “perché?”. Lo considero un mio diritto e un mio dovere.

10 commenti su “Voglio scegliere”

  1. Ho trovato come sempre molto puntuale e appropriato il tuo intervento. Fortunatamente,nella gran parte dei casi, questo “disinteresse generazionale” non riguarda la mia materia specifica, ma mi sento di appoggiarti perchè ritengo che non ci sia niente di più umiliante e mortificante di non riuscire a trasmettere ciò che senti, di parlare a un pubblico che non ascolta. E per chi come noi ama il proprio lavoro, questo diventa vera e propria frustrazione. Trovo incredibile che una “gita” come la vostra non abbia risvegliato la totalità degli animi. E trovo molto triste che persone così “vive” debbano sentirsi sfiduciate verso chi dovrebbe essere dimostrazione costante ed evidente di entusiasmo per la vita “vera” e per il futuro. Coraggio, qualcuno la pensa come te…….

  2. il diritto che rivendica è sacrosanto. spero solo di non essere stato uno di quegli alunni che avrebbe voluto lasciare a casa!

  3. Io voglio andare un pò controcorrente.
    Certo, è vero, non è bello vedere che certe cose non smuovono gli animi di certe persone.
    però credo che il suo sia un ragionamento irrealizzabile.
    Come scegliere? Chi scegliere?
    Non si considera inoltre il fatto che magari uno studente non si è mai interessato a certe proposte perchè ancora poco maturo, e quindi poi discriminiamolo, non diamogli una seconda terza o quarta opportunità.
    E’ inutile porre problemi che non hanno una soluzione pratica e realizzabile.
    Piuttosto continuiamo con le gite come sono state fatte fino ad ora, anche perchè con tutti i problemi che già ci sono ad organizzare queste, figuriamoci quelle proposte da lei.

  4. Caro Sergio,
    sento molta amarezza nel tuo intervento e ancora una volta ci ritroviamo a dire: basta gite! Ma quante volte lo abbiamo detto? Non si contano, poi, per spirito di servizio continuiamo a farle e anche per Auschwitz è andata così, anzi sei stato proprio tu a spronarmi e ti ringrazio per averlo fatto.
    Nei viaggi d’istruzione, nella maggior parte dei casi, la dimensione che viene interiorizzata dai ragazzi non è quella artistico-culturale, ma piuttosto quella della socializzazione e allora forse è meglio una giornata al mare, magari a Punta Chiappa, uno dei luoghi più belli al mondo. Quante responsabilità di giorno e di notte… la notte e il suo mistero, che non porta riposo e oblio ma la metamorfosi, e spesso scopri una doppia natura in ragazzi affetti da sindrome di Jekyll e mister Hyde.
    Per ritornare alla nostra gita, non mi sembra che sia andata tanto male.
    La nostra era una delle poche classi al completo, gli altri gruppi sono stati formati selezionando i ragazzi più motivati delle varie scuola, ma francamente io non ho notato una partecipazione più sentita da parte degli altri rispetto ai nostri studenti.
    Nei campi di sterminio li ho visti attenti, alcuni erano commossi e spaventati, pochi altri forse hanno dissimulato l’emozione con un atteggiamento più spavaldo.
    Nel nostro albergo non si sono verificati fatti particolarmente incresciosi, a parte il bivacco notturno nei corridoi, e anch’io mi sono chiesto come si potesse avere tanta voglia di “far casino” dopo aver trascorso un giorno all’inferno e visto il frutto orrendo dell’odio.
    Per quanto riguarda l’uso compulsivo del cellulare, tu sai come la penso in proposito, ma i ragazzi non fanno altro che riprodurre i comportamenti degli adulti, dei genitori, dei politici in parlamento e ahimè anche nostro.
    E adesso alcune considerazioni sugli articoli precedenti: è vero, sono venuti meno gli ideali e i valori nei quali credeva la nostra generazione, oggi la scuola deve competere con una società che propone sempre di più i valori del business: successo, denaro, immagine e in politica si affermano comportamenti illegali quasi sempre impuniti.
    Serve una grande arte per essere credibili di fronte a ragazzi abituati a giudicare più per quello che si possiede che non per quello che si è, ragazzi con il cervello devastato da programmi televisivi scellerati e osceni, affascinati da personaggi politici che non hanno nulla di diverso dall’onorevole Cetto Laqualunque interpretato da Antonio Albanese.
    Il nostro compito è quello di seminare e a volte qualcosa ritorna, ma negli anni della maturità, e non siamo noi a raccogliere.

    Nello Colavolpe

  5. Rispondo anzitutto a Zac. Chi lo dice che non c’è “soluzione pratica e realizzabile”? C’è, eccome: basta che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, gli studenti da un lato, i docenti dall’altro. Gli studenti devono MERITARSI le opportunità che la scuola mette a disposizione al di fuori della normale offerta formativa, soprattutto dimostrandosi MOTIVATI a utilizzarle; i docenti devono DISTINGUERE tra chi merita e chi no, tra chi è motivato e chi no (del resto è un aspetto irrinunciabile della loro professione). E guarda che se ci sono tanti problemi a organizzare le “gite come sono state fatte fino ad ora” è proprio perché gli insegnanti sono sempre meno disponibili ad accompagnare tribù di adolescenti in “gita” e non in “viaggio d’istruzione”. I problemi vanno affrontati e risolti, non nascosti. Quante volte capita che una classe non trovi nessun prof disposto ad accompagnarla per colpa di qualcuno? E non siete forse voi per primi ad arrabbiarvi per questo motivo, cioè perché sentite l’ingiustizia di una sanzione che colpisce tutti indiscriminatamente senza distinzioni? Valutiamo i comportamenti INDIVIDUALI, impariamo ad avere il coraggio di accettare le conseguenze delle nostre scelte, ciascuno per ciò che gli compete, e allora forse si ritroverà il gusto di fare le cose, di farle meglio e con un significato che vada oltre il semplice “cazzeggio”. Mi sembra che sia il vostro stesso problema quando proponete e organizzate l’autogestione. O no?

  6. Un commento su quanto scrive il mio amico Nello.
    Io non dico “basta gite!” e non continuo a farle “per spirito di servizio”: io voglio organizzare viaggi d’istruzione perché penso che offrano l’occasione di un coinvolgimento emotivo, collettivo e, perché no, divertente nella comprensione della realtà. Li voglio fare perché mi coinvolgono e mi divertono, perché mi piace stare con i ragazzi, perché parlo, rido e ragiono con loro. Il punto è che i ragazzi – come gli adulti e i professori – non sono tutti uguali: gli immaturi, i maleducati, gli arroganti, gli indifferenti a tutto ciò che non è puro divertimento disimpegnato, i furbi, i superficiali…esistono, sono tanti e fruiscono, come gli altri, dell’istruzione pubblica; ma perché, dico io, vanno premiati con attività e iniziative che la scuola non è affatto obbligata a organizzare e che richiedono un supplemento di impegno non indifferente per chi le rende possibili? Sono invece più perplesso sulla giornata al mare, almeno per gli studenti del triennio, perché penso che quella sia una cosa che non compete alla scuola, ma appartenga alla sfera privata del tempo libero da trascorrere con gli amici.
    Per quanto riguarda il viaggio ad Auschwitz, anch’io ne do una valutazione complessivamente positiva. Ho volutamente fatto l’esempio di una meta così impegnativa per porre il problema nei suoi termini estremi e quindi più chiari; sta di fatto che se certi comportamenti di una parte del gruppo si verificano anche lì, il problema esiste e secondo me va affrontato, non abolendo le proposte ma formulandole in modo diverso, puntando cioè sulla qualità e non sulla quantità dei partecipanti. Anche il buon contadino, caro Nello, semina sul terreno fertile, non su quello arido.

  7. Sergio non capisco la ragione del tuo malessere .
    La gita o l’uscita didattica non è e non deve essere un premio per nessuno .
    Credo che sia parte integrante dell’attività didattica . Certo non siamo obbligati .
    A me fanno sorridere le solite frasi di rito : “La tal classe non andrà in gita perchè si comporta male” o peggio ancora “non se lo merita” .
    Non è mai venuto in mente a nessuno che forse proprio quella classe ha bisogno di un’esperienza di questo genere per uscire da un “disagio” ?
    E poi chi si erge a giudice per decidere (in base a quali parametri ?) chi lo merita e chi no ?
    Mi sembra un discorso pericoloso . Si potrebbe rischiare di fare come taluni personaggi che tanto condanniamo che discriminavano in base al colore degli occhi .
    Noi potremmo discriminare in base a…interesse, motivazione ?
    A me francamente sembra troppo facile e credo anche utopistico pensare di predisporre un’uscita con i “prescelti” .
    Penso che la grande sfida sia proprio quella di andare “in gita” con quei ragazzi che tu definisci “gli immaturi, i maleducati, gli arroganti, gli indifferenti a tutto ciò che non è puro divertimento disimpegnato, i furbi, i superficiali…” con la speranza che qualcosa venga recepito e fatto proprio . Proprio loro hanno più bisogno di altri di esperienze di questo tipo .
    Non dimentichiamo che sono ragazzi che stanno crescendo .
    Ritengo che Nello abbia ragione nel dire che il nostro compito sia quello di seminare .
    Nel tempo ho visto tante “pianticelle” germogliare e crescere . Molte di loro sono nate da quei semi che un tempo sono stati seminati in un terreno arido .
    Saranno stati la fiducia e l’amore dei seminatori che li hanno aiutati ?

  8. Ringrazio Sergio Cappellini e tutti i colleghi che hanno commentato. Ognuno di loro ha scritto cose condivisibili, illuminando aspetti diversi della questione e cominciando a scalpellare un po’ uno dei tanti “muri di Berlino” che impediscono alla scuola di crescere e di cambiare.
    In generale, credo che a scuola si debba tornare a progettare uscendo da schemi tradizionali (classe-lezione-interrogazione-lavagna-gesso) talmente abusati da sembrare immutabili. In realtà, è invece possibile adottare modalità organizzative diverse che pur garantendo i diritti di tutti consentano anche le necessarie differenziazioni.
    Riguardo ai viaggi di istruzione è necessario riformare il regolamento di istituto sganciando l’iniziativa dalla classe e collegandola alla scuola nel suo insieme (ad esempio, a una determinata fascia di età) sulla base di un progetto didattico che inizi a scuola, a cui gli studenti aderiscano liberamente, si sviluppi nel viaggio e poi si concluda, di nuovo a scuola, venga ben documentato e infine valutato (nel senso della valorizzazione del lavoro svolto). Il prodotto elaborato al rientro da Auschwitz può essere preso ad esempio. Non ci sarebbe la necessità di premiare o punire, di includere o di escludere; sarebbe la disponibilità a lavorare sul progetto l’elemento discriminante. Mi riprometto di tornare sul problema con più calma.

  9. Caro professore,
    come la capisco! Sa, quando l’anno scorso siamo andati a Budapest (ancora mi dispiaccio del fatto che lei non sia riuscito a venire), credo che molti di noi – in particolare del “braccio A” – abbiano apprezzato davvero il valore artistico della città.
    E’ vero, della mia classe sono stato l’unico che sia voluto andare alla mostra su Van Gogh, mentre della 5A ce ne sono stati molti di più! Gli altri hanno preferito andare allo zoo, peraltro chiuso!
    Mi trovo perfettamente d’accordo con lei; è vero, la sera è il momento preferito dei ragazzi di 18-19 anni, ma città come Budapest, Barcellona o Parigi possono offrire molto di più che qualche discoteca!
    Per farle un esempio, sono stato di recente in “vacanza” ad Amsterdam: non è stato un viaggio con intenti (per usare le sue parole) cannabitici, ma ci siamo dedicati alla visita della città nel suo complesso: dal centro storico, in cui è presente un parco verde grande quanto Pieve e Rozzano insieme, al Van Gogh Museum, passando per tutta questa incantevole città e i suoi magnifici monumenti (l’università di Amsterdam è qualcosa di favoloso!).
    Per cui, mio caro e indimenticato professore, non si perda d’animo e continui la sua “lotta”: io sono dalla sua parte, ma come me tanti altri lo saranno!
    Con immutato affetto
    Valentino

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