Dal “noi” all’ “io”.

Cerco di chiarire quanto ho voluto dire intervenendo nel dibattito seguito alla relazione dell’avvocato Franco Scarpelli questa mattina in auditorium.
Non penso affatto che i giovani di oggi siano “peggiori” di quelli della mia generazione; credo però che negli ultimi vent’anni si siano drammaticamente indebolite forme fondamentali di coscienza collettiva. Un tempo, partiti, sindacati, associazioni di ogni tipo costituivano un ricco tessuto attraverso il quale il singolo entrava in relazione con le istituzioni, col mondo del lavoro, con la società civile, partecipando alla vita collettiva, maturando un punto di vista, magari critico, sulla realtà, prendendo posizione nei confronti delle grandi questioni di interesse pubblico, etico, politico. Oggi le cose sono molto diverse. Il processo di atomizzazione della società da un lato omologa in modo impressionante i comportamenti, dall’altro ci isola come individui regalandoci un’apparente libertà. A parte i personali legami affettivi o di amicizia, le uniche forme di vita sociale sono rappresentate da eventi spettacolari (la partita di calcio o il concerto) o, nel migliore dei casi, da attività solidaristiche o di beneficienza. Anche nei rapporti di lavoro alla cultura dei diritti si va sostituendo quella dei favori: ognuno tende a risolvere il proprio problema senza collocarlo in un orizzonte più ampio. E riferendosi alla scuola, da quanto tempo gli studenti hanno rinunciato a pensarsi come un soggetto collettivo, portatore di proposte anche critiche, limitandosi a subire l’esistente nella logica dell’ “ognuno per sé e Dio per tutti”? E lasciamo perdere l’autogestione, che al massimo è una riproduzione sgangherata della scuola in formato ridotto, soltanto con più ricreazione…
Sul perché abbia potuto accadere tutto ciò ho le mie idee, ma non è il caso di esporle qui ed ora. Piuttosto mi interessa molto conoscere qualche altro punto di vista. Non siete d’accordo? A voi la replica.

2 commenti su “Dal “noi” all’ “io”.”

  1. Carissimo Prof. vorrei esprimerle il mio punto di vista su questo argomento. In parte mi trovo pienamente d’accordo con la sua spiegazione di “atomizzazione” della società di oggi, specialmente tra i giovani. Ormai la nostra vita è talmente ricolma di stereotipi, nella maggior parte dei casi sbagliati, che ormai i ragazzi hanno cominciato a smarrire l’idea di individuo parte di una società in evoluzione. Il pensiero principale è diventato ormai “io devo essere il migliore, risaltare in quel gruppo che segue quel tipico tipo di vita” ecc… Da un’altro punto di vista mi trovo in disaccordo: i giovani non si stanno del tutto isolando anche dal loro gruppo… per l’appunto esistono i gruppi, le bande, i clan. Sono sempre esistiti ma da quel che ho visto nella mia vita si stanno intensificando, ed essi sono una forma di unione, condividono idee ecc… Sicuramente non è una forma di raggruppamento come lo era una volta; ormai lotte chiamiamole “di classe” sono state praticamente abbandonate. A mio parere infatti i ragazzi di oggi sono abituati ad avere la “pappa pronta”, perciò danno per scontato che quello che gli viene servito sia la cosa giusta o se preferisce, la meno sbagliata. Questa è una cosa gravissima come ha detto lei giustamente. però io non credo che questo sia dovuto ad una sorta di “atomizzazione” dell’io contro il noi, credo che il problema derivi dall’indifferenza generale che ci ha colpito e in quanto adolescente e maggiorenne posso confermare quello che dico. Gli interessi generali ora sono il lettore mp3, il motorino nuovo, la moda o l’aggeggio elettronico che va più di moda; non riusciamo più a cogliere quali siano i veri problemi nel nostro paese così come nel mondo. E questa indifferenza nasce secondo me dallo sbagliato utilizzo delle tecnologie di cui oramai disponiamo. Ai suoi “tempi” o per avere un esempio più credibile, ai tempi di mio padre (il dopoguerra) il mezzo di informazione era il giornale. La gente leggeva e i problemi venivano a galla. Perciò penso che si identificassero di più come un gruppo generale, I GIOVANI per l’appunto, ritenendo giusto che valesse la pena combattere anche all’eccesso (come lei giustamente ha affermto). La verità è che i tempi sono cambiati e il mondo ha cambiato faccia e modo di proporsi, per questo non percepiamo la realtà così com’è ma come ci piace che sia.
    Questa è la mia opinione.Spero in una sua replica

    Alex Colombo 5^ A

  2. Mi scuso in anticipo per la lunghezza del commento ma sono più bravo a parlare che a scrivere.
    Atomizzazione o no, la questione dell’io e del noi è tanto più complessa quanto più semplice. In un contesto in cui non sono vissuto, posso solo pensare a quale fosse la situazione e quindi trarre le mie conclusioni fondate su semplici ipotesi. Non sono nato infatti nelle scorse generazioni, ma mi pare che contestualizzando il fatto, si possa dire che quella era un’epoca di cambiamenti e di ricerca di stabilità e primato. E’ finita la guerra e si cerca un rimedio al fascismo e alla fame, l’uomo va sulla Luna per dimostrare la superiorità della propria razza e degli Stati Uniti sulla Russia, il boom economico porta ad una ricerca di agiatezza e di speculazione lucrosa, le piccole nazioni o patrie si staccano dai grandi imperi…
    Queste sono cose da non lasciare in disparte; una generazione che vive in un’età di notevole cambiamento cercherà, a mio avviso, di porsi dentro il vortice dei mutamenti. Sente che in molti dicono la loro e segue questo filone nella speranza, anzi nell’obbligo di essere ascoltati. Nascono contestazioni e le parti s’intestardiscono nella nicchia delle loro idee, più per presa di posizione che per altro. così funzionava e molte cose sono state fatte ma quest’era, sebbene sia di un immenso sviluppo tecnologico, non pretende di dare nulla di veramente nuovo, solo migliorare all’ennesima l’esistente. così facendo, le manifestazioni di massa perdono il valore, poichè a chi già vive nella media agiatezza, nulla importa di far forza comune per cose relativamente accettabili e rischiando la ritorsione. L’unione fa la forza, ma molto spesso anche la rovina dei singoli partecipanti a questa collettività. Le ripicche sono sempre in agguato o per lo meno la paura di esse frena molto spesso l’iniziativa. In ambito scolastico, niente di quello contro cui si potrebbe lottare non può essere sopportabile, quindi perché inimicarsi qualcuno? Non è arrendevolezza bensì una sorta di mediazione in cui gli alunni accettano anche con un certo malcontento quello che viene imposto…Il lamentarsi di qualche singolo può portare sì ad un piccolo movimento ma se la base non è solida e che coinvolge tutti, sarà solo un fuoco di paglia.
    E poi se vogliamo dirla tutta la “comunità” di persone che si aggregano per combattere uno stesso nemico, non è solo un’accozzaglia di gente che egoisticamente si trova male in una situazione e vuole combattere trovando poi persone che egoisticamente come loro la pensano allo stesso modo?
    Quindi gruppo o non gruppo l’egoismo dell’io vale tanto a quello del noi.
    Grazie.

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