Ho letto l’articolo di Isabella di 5B e l’ho idealmente abbracciata. Conosco la sofferenza di cui parla, gli sguardi e la tenerezza di quegli animali, lo sgomento e il dolore che si prova nel vederli e sentirli. Mia figlia, che compie oggi 16 anni, ne ha adottati tre e fa la volontaria in un canile. Uno di quei tre cani è cieco e senza denti: è stato trovato abbandonato, legato ad un palo con una corda di tapparella. Quando l’hanno portato in canile pioveva a dirotto e lui rimaneva immobile sotto la pioggia, senza ripararsi nella cuccia. Adesso vive in casa mia. Non so quanto gli resti da vivere, ma so che è contento. Ha imparato a orientarsi nel nuovo ambiente e tutte le sere viene a spasso con me: io sono i suoi occhi e lui si fida. Mia figlia si occupa degli altri due, giovani e pieni di vita. E poi c’è anche una gatta, che a dire il vero è arrivata per prima, nove anni fa, anche lei malata, ma ora perfettamente sana e in grado di gestire con grande disinvoltura le complicate relazioni “familiari”.
Vi assicuro che badare agli animali, rispettandoli nelle loro esigenze, è un impegno molto gravoso, sia in termini di tempo, sia economicamente; ma io sono grato a mia figlia perché, pur procurandomi un sacco di guai, mi ha costretto a fare i conti con la parte meno gradevole di me stesso, rimescolando la scala dei valori e delle priorità. Credo che quegli animali, deboli e indifesi, abbiano migliorato la mia capacità di essere uomo e soprattutto siano stati fondamentali nel consolidare il difficile ma bellissimo rapporto con mia figlia.
Il vero orrore, Isabella, non sta nello scrivere Aski (chissenefrega!), ma nell’indifferenza di cui sappiamo dare prova noi esseri umani di fronte alla sofferenza. Qualunque sofferenza.