Arrivo a scuola presto. All’ingresso non ci sono bidelli. La sala prof. è buia come il ventre del pesce che inghiottì Giona. Alzo le tapparelle, ma il cambiamento non è significativo. Poi, pian piano, arrivano colleghi e colleghe. Oggi sembra che ognuno abbia il suo fagottino di dolore e si sente solo un parlare spento e un po’ annoiato. Non arriva neanche Caterina, la custode, con il consueto TIR di circolari.
Armato dei registri raggiungo la quarta Z. L’appello passa quasi inosservato. Cerco di iniziare la lezione, ma continuano a conversare placidamente, come se il professore non fosse ancora entrato. Che sia diventato trasparente?
Innalzo le mani, con un gesto di richiamo, per farmi notare. Niente. Vorrei quasi avere un fumogeno. Poi mi forzo e, trovando risorse inaspettate, faccio uscire una voce tonante: «Questo strano gesticolare è del vostro professore: pur sapendo che l’oblio lo porterà con sé, vorrebbe che ciò avvenisse un altro giorno». Si può cominciare.
Poi, spiegando San Tommaso scopro che Fornero al teorema di Pitagora crede per fede, mentre la signorina Pugni sostiene che non vale sempre. Tutto sommato, avrebbe anche ragione, se soltanto sapesse spiegare perché.
Zappa, che ha chiesto di andare ai servizi, rientra simulando dolori in tutto il corpo. Commento: «Consolati, se soffri sei vivo». «Professore, preferirei essere morto» è la sua risposta. Ma quando gli auguro soavemente: «Che Dio ti accontenti», la mano è lesta allo scongiuro.