l’uomo felice…

il prof. Paganini

Sono anni che propongo al Consiglio di Classe un lavoro di approfondimento interdisciplinare sul tema della Felicità: niente da fare. Mi prendono anche un po’ in giro, come se la mia richiesta fosse motivata dalla personalissima esigenza di non affogare nella sfiga.
Forse gioca tra i colleghi anche la paura di dover riconoscere le proprie infelicità: 40, 50, 60 anni e una piega amara sulla bocca; molto meglio non parlarne.
Eppure tutti abbiamo provato la felicità. Com’è che ci vien difficile definirla? Perché il “che cos’è” della felicità sembra sfuggire alla nostra presa?
I più sembrano pensare che abbiano ragione gli inglesi, che la felicità sia happiness, qualcosa che accade (to happen) e dunque non è in nostro potere. La fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo.
Altri pensano, credono, sperano che la felicità si possa costruire o si possa raggiungere.
Altri altro ancora.
Come sarà?
Anche quando sono felice, non so ben rispondere. però voglio proporvi una storia: la storia dell’uomo felice, una storia raccontata da Italo Calvino, che faccio un po’ mia e, dunque, mi permetto di cambiare, ma poco poco.
Eccola.

Un re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe era sempre scontento. Passava intere giornate affacciato al balcone, a guardare lontano.
– Ma cosa ti manca? – gli chiedeva il Re. – Che cos’hai?
– Non lo so, padre mio, non lo so neanch’io.
– Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del Re più potente della terra o la più povera contadina!
– No, padre, non sono innamorato.
E il Re a riprovare tutti modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti, ma nulla serviva, e dal viso del Principe di giorno in giorno scompariva il color di rosa.
Il Re emanò un editto e, da ogni parte del mondo, venne la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Vennero persino dall’Istituto Calvino. Il re mostrò il Principe e domandò consiglio.
Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono e dissero:
– Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle. Ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia felice, ma felice in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.
Quel giorno stesso il Re mandò ambasciatori per tutto il mondo a cercare l’uomo felice.
Gli fu condotto un prete: – Sei felice? – gli domandò il Re.
– Io sì, Maestà!
– Bene. Avresti piacere di diventare il mio vescovo?
– Oh, magari, Maestà!
– Va’ via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato, non uno che voglia star meglio di com’è.
E il Re si mise ancora in attesa.
C’era un altro Re, suo vicino. Gli dissero che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra e il paese stava in pace. Subito il Re, pieno di speranza, mando gli ambasciatori a chiedergli la camicia.
Il Re vicino ricevette gli ambasciatori e: – Sì, sì, non mi manca nulla. Peccato, però, che quando si hanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero soffro tanto che non dormo la notte!
così gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro.
Per sfogare la sua disperazione, il Re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d’averla presa, ma la lepre, zoppicando, scappò via. Il Re le tenne dietro e s’allontanò dal seguito.
In mezzo ai campi sentì una voce d’uomo che cantava allegramente. Il Re si fermo: – Chi canta così non può che esser contento!
Seguendo il canto si infilò in una vigna e, tra i filari, vide un giovane che cantava potando le viti.
– Buon dì, Maestà, – disse quel giovane – così di buon’ora già in campagna?
– Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico.
– Ahi, ahi, Maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei nemmeno col Papa.
– Ma perché, tu, un così bel giovane?
– Ma no, vi dico. Sono contento così e basta.
– Finalmente un uomo felice – pensò il Re. – Giovane, senti: devi farmi un piacere.
– Se posso, con tutto il cuore, Maestà.
– Aspetta un momento, – e il Re, che non stava più nella pelle per la contentezza, corse cercare il suo seguito: – Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo – e li porta da quel giovane.
– Benedetto giovane, – dice, – ti darò tutto quello che vuoi, ma dammi, dammi…
– Che cosa, Maestà?
– Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta! – e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt’a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.
L’uomo felice non aveva camicia.

Morale della favola?
Due interpretazioni
Interpretazione pessimistica: è proprio vero, la felicità non è in nostro potere. Se capita, bene, altrimenti…
Interpretazione ottimistica: la felicità non sta nel possedere qualcosa, beni o privilegi o, persino, una camicia e, se non dipende dall’avere, allora può esser per tutti.
Quale sarà la risposta giusta?
Silenzio, per favore. Forse riusciremo a sentirla.

5 commenti su “l’uomo felice…”

  1. interessante, ci sono capitata per caso. da tempo mi interessa questo argomento in modo particolare.
    sulla felicità si s0pendono molte parole da sempre. Io la sto trovando assaporando le varie emozioni giornaliere,piacevoli o no. L’importante è viverle e trovare il lato positivo anche nelle difficoltà.Non ho molto tempo, ma questo sito mi piace e tornerò a visitarlo.

  2. ….questa storia è una di quelle storie popolari che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo…che avevo completamente rimosso fino a quest’estate quando mi è rivenuta in mente…e oggi casualmente mi sono imbattuto propio in questo sito. Penso che sia una storiella bellissima e molto profonda, ma non sono pienamente d’accordo con le sue interpretazioni; io la vedo da un punto di vista un po’ diverso, quasi francescano: cioè che la felicità deriva dal rifiuto dei beni materiali e dall’accontentasi…perchè più abbiamo e più vorremmo avere diventando cosi sempre più insoddisfatti e infelici..quando basterebbe godersi i piccoli piaceri…come appunto faceva il giovane contadino. Sarei felice di sapere cosa ne pensa

  3. I beni materiali sono soltanto un mezzo: non vanno demonizzati e nemmeno divinizzati.
    Quanto ai “piccoli piaceri”, la felicità è piacevole, ma il piacere non è la felicità.

  4. Questa favola l’ho cercata proprio perché era un ricordo di quando facevo le elementari.
    (65 anni fa ). Ho scoperto che non mi sbagliavo e nello stesso tempo che l’autore è niente meno che Italo Calvino.
    Questa favola è sempre attuale e mi domandavo perché non avesse avuto la diffusione dovuta. È come una favola di Esopo. Al giorno d’oggi non va più di moda purtroppo ma ciò nulla toglie al significato della storia. Si cerano scorciatoie che non servono. Intelligenti pauca dicevano i latini.
    Il proverbio invece dice: chi si accontenta gode.

  5. Bellissima, coglie tante morali e fà nascere tante considerazioni.
    Ma io penso, che la felicità, quella vera, quella che nasce con te, quella dentro di te e che non sai forse neanche bene da cosa deriva, certo non é così tutti i giorni ( magari ), ma quella positività che ti fà prendere la vita e tutti i suoi dolori in un modo in cui compare sempre una speranza, una rinascita.
    Quella “cosa” che rende un essere vivente felice, dipende da una combinazione di ormoni, nervi, cuore e sinapsi, non penso che dipenda veramente da noi stessi.
    E’ quella felicità di essere al mondo che niente e nessuno può togliere, anche se a volte …… hai un bel da combattere per tenertela stretta.

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